A 25 anni dal primo Oylem Goylem, Moni Ovadia mette in scena un nuovo spettacolo che ritrova il vecchio ebreo errante con nuove storie, umorismo e riflessione drammatica, racconto e canzoni, musica e barzellette. E sarà proprio sul modello di Oylem Goylem il nuovo spettacolo di Moni Ovadia, Dio ride, il cui sottotitolo Nishe Koshe, in yiddish vuol dire “così così”.
Lo spettacolo è in scena al Piccolo Teatro Grassi di Milano fino al 14 ottobre. Sul palco, insieme a Moni Ovadia, un’orchestra dal vivo formata da Maurizio Dehò, Luca Garlaschelli, Albert Florian Mihai, Paolo Rocca e Marian Serban.
La parola a Moni Ovadia
“Quali storie racconterà stavolta il vecchio ebreo errante?”
“Il vecchio ebreo errante spiegherà il suo ritorno e perché l’esilio è bloccato da muri, fili spinati, orrori dell’intolleranza e muri del cuore, dell’anima e della mente, in particolare il terribile muro della Palestina che segrega un intero popolo e lo priva di tutto. Da lì parto a ricordare che invece la diaspora, che è la grande maestà dell’ebraismo, ha nell’esilio il suo grande punto di forza. Quindi ricorderò quali vertigini di sapere e di giustizia si possano raggiungere fuori dai confini e dalle brutalità.”
“Perché sono storie di un popolo in permanente attesa?”
“Perché la grande intuizione ebraica del Messia e la sua vera modalità è quella dell’attesa. Noi costruiamo l’attesa e nella sua costruzione noi edifichiamo il messianesimo dentro di noi e nella nostra società.”
“Qual è – rispetto a Oylem Goylem – la struttura drammaturgica dello spettacolo?”
“La struttura drammaturgica è molto simile e c’è una sola variante: alle nostre spalle del piccolo atollo palcoscenico – che rappresenta alcuni palcoscenici del famoso cabaret da espressionista – c’è un muro, che è chiaramente quello della segregazione del popolo palestinese in cui vengono proiettate immagini. Sotto, come in un palinsesto, compaiono le afflizioni del popolo palestinese.”
“Cosa significa che è un popolo fatto di umanità disperse quello di cui lei parla nello spettacolo?”
“Significa che gli ebrei erano un coacervo di meticci di ogni origine. Erano israeliti discendenti da Giacobbe, ma anche mesopotami, egizi, e di altre origini, quindi erano un mucchio di gente che ha saputo essere popolo immaginando una patria mobile, quella del sapere, dell’etica e della giustizia.”