FERDINANDO BRUNI, “DIPLOMAZIA” E CONFLITTO DI COSCIENZA

Uno scontro verbale senza esclusione di colpi in piena seconda guerra mondiale. Avvenne una notte del 1944 tra il generale Dietrich Von Choltitz, governatore di Parigi durante l’occupazione nazista, e il console svedese Raoul Nordling. Il tedesco ha l’ordine di radere al suolo la città prima della ritirata. Il diplomatico userà però tutta la sua oratoria per farlo desistere dagli ordini del Führer.

Diplomazia è in scena alla sala Shakespeare del Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 22 novembre. Scritto da Cyril Gely, lo spettacolo è diretto da Francesco Frongia ed Elio De Capitani, che ne è anche protagonista con Ferdinando Bruni, Michele Radice, Alessandro Savarese e Simon Waldvogel.

Intervista a Ferdinando Bruni

Che cosa c’è all’origine dello scontro tra i due protagonisti?

Un fatto storico: il tentativo – riuscito, grazie a Dio! – di impedire la distruzione di Parigi da parte dell’esercito nazista che si sta ritirando nell’agosto 1944, dopo lo sbarco in Normandia e l’avanzata degli eserciti alleati. L’ordine di Hitler è di distruggere la città. Il generale Von Choltitz è in carica da sole due settimane ed è arrivato proprio per mettere in atto questo piano allucinante. Il console onorario svedese Raoul Nordling, legato in modo molto diplomatico alla Resistenza, riesce a sventare il progetto attraverso un tessuto dialettico e diplomatico. Tessuto che convince il generale a non schiacciare il pulsante criminale che farebbe saltare in aria tutta la città. E’ un fatto storico reale, anche se non conosciamo quello che i due personaggi si dicono e si sono detti nella realtà. Ricostruisce però una serie di dialoghi molto verosimili, stringenti e appassionanti.

Assieme ai registi Frongia e De Capitani su quali aspetti hai lavorato di più per rendere al meglio in scena il tuo personaggio del console svedese?

La regia ed io abbiamo lavorato sul contrasto tra i due personaggi, che sono molto ben delineati già nel testo. Da una parte c’è il generale che ha ricevuto un’educazione prussiana e viene da una famiglia nobile di tradizioni militari. Quindi ha un senso del dovere quasi inumano, che va al di là dell’effettiva valutazione del peso morale di un ordine. E’ un osso durissimo da convincere: per tradizione, formazione e mentalità.

Dall’altra parte c’è poi il mio personaggio, nato a Parigi nonostante sia svedese. Ha vissuto nella capitale francese tutta la vita. Avendo adesso 60 anni, ha dunque attraversato tutta l’epoca d’oro della Belle époque, del primo dopoguerra e degli anni Venti. Quindi ha una visione del mondo diametralmente opposta a quella di Von Choltitz: gli piace vivere, ama la bellezza di Parigi, la sua atmosfera e tutto il resto. Dunque sta difendendo qualcosa che gli appartiene molto profondamente. Quello che cerca di far capire al generale è proprio l’importanza che esista al mondo un luogo così, al di là ovviamente dell’orrore di sterminare due milioni di persone.

E’ uno spettacolo in cui entrano in gioco valori fondamentali come la libertà, il destino e le responsabilità individuali?

Certo, assolutamente. I temi messi sul piatto sono tanti, come il fatto che qualsiasi scelta ci mette in prima linea. Quindi ognuno deve soppesare bene le proprie decisioni, soprattutto quando coinvolgono la vita e il destino di milioni di persone. In questo caso sono scelte di persone che detengono il potere e la possibilità di usarlo facendo molto male. Ci sono in ballo anche due concezioni della vita, cioè per che cosa vale la pena di vivere e cosa ci rende felici.

Ovviamente un elemento che rende ancora più drammatico il conflitto è il ricatto che mette sotto scacco il generale: infatti una legge appena promulgata da Hitler fa sì che le famiglie dei generali in quel momento storico siano tenute come ostaggi delle azioni dei loro capifamiglia. Quindi se uno non distrugge Parigi, mette a rischio la vita della propria moglie e dei propri figli in Germania. Quest’elemento crea così un’ulteriore tensione e un ulteriore peso sulla valutazione delle azioni del generale.

Dopo “Frost/Nixon” e “Il vizio dell’arte”, possiamo dire tranquillamente che con “Diplomazia” va in scena il terzo scontro fra i titani Ferdinando Bruni ed Elio de Capitani. Qual è il risultato dello straordinario affiatamento artistico tra voi due?

Da una parte c’è anche un divertimento personale, anche se forse è una cosa che riguarda molto relativamente il pubblico. Questo divertimento serve però a creare un rapporto più autentico, dato che siamo due persone che lavorano insieme da oltre quarant’anni! Abbiamo un’intesa sul ruolo del teatro e la maniera di stare in scena che ci aiuta a raggiungere risultati con un valore aggiunto dato appunto da questa stratificazione di esperienze.