“DISGRACED”, IL VASO DI PANDORA DELLA PAURA

E’ una tragedia greca contemporanea ambientata in una Manhattan colta, ricca e liberale quella che va in scena al Teatro Filodrammatici di Milano fino al 25 marzo. Amir Kapoor è un avvocato finanziario di origini pakistane, educato e cresciuto in America. Sta scalando le vette del successo allontanandosi dalle proprie radici culturali. Quando lui e sua moglie Emily, una pittrice newyorchese, decidono di invitare a cena il gallerista d’arte Isaac e sua moglie Jory, si instaura inizialmente una pacifica conversazione che però si trasforma in un acceso confronto sulle complesse questioni del dibattito politico e religioso contemporaneo. In un perfetto meccanismo drammaturgico, i rapporti umani fra i protagonisti ne verranno profondamente modificati.

Il testo di Ayad Akhtar, autore di origini pakistane nato in America, ha vinto tre premi tra il 2012 e il 2013, tra cui il prestigioso Pulitzer per la drammaturgia teatrale. Lo spettacolo è tradotto e diretto da Jacopo Gassman e vede protagonisti Hossein Taheri, Francesco Villano, Lisa Galantini, Saba Anglana e Marouana Zotti.

Quattro domande a Lisa Galantini e Jacopo Gassman

“Quali sono i temi intorno ai quali ruota questo testo?”

Lisa Galantini: Sono molti. Intorno a un tavolo si parla fondamentalmente di provenienza e si ritrovano una wasp, cioè una pittrice di origine anglosassone, una purosangue americana, un uomo di origine pakistana, un ebreo e un afroamericana. Durante una cena emergono temi legati alle loro radici e che -complice l’alcol o le relazioni interpersonali – scoppiano in modo dirompente. Tutto questo non è previsto perché gli amici si ritrovano per festeggiare un successo. E’ un’esplosione di situazioni non calcolate sia nella sfera personale che in quella politico-sociale  e riguarda i rapporti tra l’Occidente e il Medio Oriente.

Jacopo Gassman: In questo spettacolo il tema centrale è quello della rappresentazione. Riguarda il modo in cui noi rappresentiamo noi stessi e quello con cui ci raffiguriamo rispetto allo sguardo degli altri. C’è una scena simbolica all’inizio dello spettacolo che vede Emily e Amir: è un sabato mattina ed Emily, una pittrice che sta facendo una ricerca sull’iconografia islamica, chiede ad Amir di posare per lei perché vuole ritrarlo prendendo spunto da un quadro di Diego Velàzquez: il ritratto di Juan de Pareja. In questo quadro il pittore aveva dipinto il suo assistente schiavo di origini moresche vestendolo con dei merletti. E’ un’opera molto potente in cui la raffigurazione di quest’uomo mostra orgoglio, rabbia e sospetto negli occhi verso il suo osservatore.

Nella New York liberal e benestante del ventunesimo secolo, Emily chiede senza malizia e con affetto ad Amir di posare per lei perché vuole dipingere il moro del ventunesimo secolo, cioè suo marito, un avvocato nato e cresciuto negli Stati Uniti ma di origine pakistane. Nell’arco dello spettacolo questo gesto nasconde un sottotesto che ha a che fare con il tema della rappresentazione: una donna dalla coscienza occidentale mette in una cornice suo marito osservandolo come l’altro. Amir dovrà fare i conti con lo sguardo che è stato posato su di lui.

“Le identità etniche che vengono presentate offrono segnali di aperture o rimane un muro tra di loro?”

Jacopo Gassman: I personaggi vivranno tutti una sorta di ritorno alle proprie radici. Siamo in un clima post 11 settembre in cui esiste una certa cultura del sospetto. Uso una frase molto bella dell’autore: “Con questo testo io non faccio relazioni pubbliche. Non è il mio mestiere, io faccio il drammaturgo. Non devo dire che le cose sono tutte rose e fiori. Spero di poter dare accesso al presente e a come lo stiamo vivendo dal punto di vista mondiale che ha ramificazioni politiche, sociali ed etniche”.

Chiaramente è un presente complesso e l’autore non ha paura di affrontarlo, per cui pone domande scomode. Racconta però personaggi profondamente umani, quindi alla fine vince su tutto: sulle ferite e sulle lacerazioni che vengono inferte nell’arco di questo viaggio. Trionfa un sentimento di compassione a cui siamo tutti chiamati a partecipare.

“Quali sono le ipocrisie e i pregiudizi che ne conseguono?”

Lisa Galantini: Quando ci si confronta con un testo contemporaneo ci si rende conto dei problemi che escono. Mi sono innamorata di “Disgraced” la prima volta che l’ho letto e più ci si lavora più diventa bello. Una delle cose che mi ha colpita è che noi attori ci siamo ritrovati come i personaggi ad avere dei momenti di scontro molto forte, perché il testo è scritto talmente bene che perorando il loro pensiero abbiamo frainteso ipocrisie oppure ci siamo scambiati frasi male interpretate.

Questi aspetti erano importanti per lavorare sui personaggi e per conoscerci. Spesso, nel nostro modo di relazionarci agli altri, si annidano pregiudizi di cui non siamo coscienti. “Disgraced” è stato importante perché ci ha dato la possibilità di un ascolto differente. Ci comunica che finché non prendiamo coscienza e contatto con i nostri pensieri originari non ci sarà possibilità di dialogo e di comprensione. Nel lavoro ci è successo questo: siamo dovuti passare attraverso lo scontro per incontrarci. 

In che modo lo scontro che nasce tra i personaggi modificherà le loro idee, i loro caratteri e i loro rapporti umani?”

Jacopo Gassman: Non c’è dubbio che lo farà in modo profondo. Durante la scena madre dello spettacolo in cui Amir ed Emily organizzano la cena a casa dove ospitano il gallerista ebreo Isaac e Jory, i personaggi usciranno profondamente modificati. Però l’autore ci dice che a causa delle forme di rottura di identità fragilmente sovrapposte, forse i protagonisti saranno pronti a mettersi in una condizione di ascolto. Noi abbiamo costruito il finale come una lunga rincorsa a uno scoppio per poi ritrovarci di fronte alle ceneri. Durante questa situazione di grande silenzio può nascere la possibilità di ascolto.

Torno a citare l’autore perché le sue parole hanno fatto da viatico al nostro lavoro. Lui dice una cosa molto bella: “Il migrante giunge negli Usa celebrando il proprio arrivo in un Paese meraviglioso che invita tutti a una sorta di sogno. Il problema è che elabora difficilmente il lutto con le proprie radici. Comprimerle, sopprimerle e negarle può condurre a difficoltà nel suo percorso verso la salute psichica.

E’ un testo complesso, ma se si riesce a leggerlo fra le righe, invita tutti a porsi delle domande -secondo me molto importanti- rispetto ai tempi caotici che stiamo vivendo.