E’ Giovanni Testori il protagonista incontrastato della settimana al Teatro Fontana di Milano. La rassegna #DITTICOTESTORI propone infatti due spettacoli dell’autore scomparso nel 1993: La monaca di Monza (il 18 aprile) e I Promessi Sposi alla prova (dal 20 al 22 aprile). Entrambi diretti e interpretati da Walter Cerrotta e Yvonne Capece, vedono il primo focalizzarsi sulla figura di Marianna De Leyva, alias suor Virginia, condannata per omicidio insieme al suo amante. Costretta a passare il resto della propria vita in una minuscola cella dotata di un solo foro per ricevere cibo e aria, vide segnato il proprio destino fino all’intervento del cardinale Federico Borromeo, che colpito dal suo percorso di redenzione, la fece liberare tredici anni dopo. Una figura controversa che ispirò uno dei personaggi più celebri della letteratura: quello della Monaca di Monza ne I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
Il secondo spettacolo di Testori, I Promessi sposi alla prova, è uno studio sul capolavoro manzoniano e mostra le difficoltà e i dubbi che due attori, registi di se stessi, devono affrontare nell’interpretazione del testo. Per risolvere le loro perplessità, non troveranno altra soluzione che affidarsi all’autore…
Quattro domande a Walter Cerrotta
“Cominciamo con La monaca di Monza: sei d’accordo nel dire che non esiste nessun altro personaggio nella letteratura che simboleggi così bene il binomio tra fede e peccato?”
Sì, assolutamente, perché presenta dentro di sé ossimori e contraddizioni incredibili: è questo a renderla estremamente intereressante. Dagli atti processuali si evince che la sua fede era molto forte ma allo stesso tempo indotta, quindi è come se non avesse conosciuto altra possibilità che quella di una fede profondamente fasulla. Inoltre la monaca di Monza aveva una profonda passione per la vita, un desiderio estremo di amore, di vivere la propria condizione di donna e la propria femminilità.
“E’ un atto di accusa contro ogni privazione e costrizione quello che vuole fare Testori?”
Credo di sì. Si tratta però di un’accusa molto velata. Non è sterile né aggressiva, ma molto veritiera e fondata su un’intelligenza letteraria e intellettuale estremamente rara. Non si tratta di un “j’accuse” estremo, ma di una riflessione da cui si evincono una rivendicazione e una forza espressiva che vanno in quella direzione. Sono due caratteristiche che però non risultano immediate appena si vede lo spettacolo o si legge il libro.
“I Promessi Sposi”
“Passiamo a I Promessi Sposi: quali sono le difficoltà che si incontrano nel mettere in scena un’opera come questa?”
Prima di tutto la riduzione dell’opera per due soli attori. Noi abbiamo fatto questa scelta perché volevamo parlare dello sperdimento che si ha oggi di fronte all’assenza della figura del maestro. Quindi abbiamo fatto dire al testo qualcosa che abbiamo letto dentro di lei ma che non rappresenta l’argomento principale. Noi invece l’abbiamo letto perché abbiamo trovato un punto d’incontro con la nostra situazione di giovani che si buttano nel teatro con la speranza che diventi il nostro mestiere. Poi c’è stata la difficoltà che si incontra sempre nel recitare Testori, non perché sia difficile ma perché è un autore complesso.
“E’ un testo che può diventare un percorso di formazione per attori e registi?
Secondo me sì. Può essere una sorta di vademecum per chi sceglie di fare teatro, perché è un testo che rispetto alla pratica teatrale di oggi racconta un altro periodo, cioè quello degli anni ’80. Però per un attore è molto importante, perché gli dice che indipendentemente dalla scenografia, dalle musiche, dalle scelte registiche, dai vari trucchi e trucchetti che si possono utilizzare per mettere in scena qualcosa, quello che dà forza e valore allo spettacolo è l’attore con il suo modo di dire le parole scritte. Testori ci dice che saranno proprio queste a far vivere e a presentare una scena completamente assente, che non esiste ed è frutto dell’immaginario. Tocca solo a loro farla entrare nella mente dello spettatore in modo che non ne esca più.