Nella versione de Il ritratto di Dorian Gray in scena al Teatro Delfino di Milano dal 5 al 7 aprile, vengono messe in risalto le tre personalità dei protagonisti della storia scritta da Oscar Wilde – Henry, Basil e Dorian – e del loro comporatento in relazione alla storia che li accomuna tutti. Scritto da Giuseppe Manfridi, lo spettacolo è diretto e interpretato da Manuele Morgese.
Intervista a Manuele Morgese
“Cosa c’è al centro dell’inchiesta?”
“La rilettura del romanzo di Oscar Wilde fatta da Giuseppe Manfridi è un’inchiesta. Quindi i tre protagonisti, il pittore Lord Basil Hallward, Lord Henry Watton e Dorian Gray, ritornano post mortem e fanno la loro deposizione al pubblico attraverso un gioco di travestimenti – perché il protagonista è unico, sono io – e attraverso un cambio velocissimo da un personaggio all’altro. Il pubblico assisterà alle tre deposizioni, ai tre raccont e alle tre versioni dei fatti dei tre personaggi. La cosa curiosa è proprio il fatto che il pittore non sa come sia morto, quindi Basil dirà di aver sentito avvicinarsi Dorian e di non sapere cosa sia successo. Invece alla fine Dorian racconterà la propria storia e il primo personaggio che incontriamo è Lord Henry Watton, che sa che il debitore è sparito, conosce la bellezza eterna e duratura di Dorian e non sa perché questa magia possa esistere.”
“I tre punti di vista dei protagonisti hanno dei punti in comune?”
“Solo la storia in generale e gli accadimenti. E’ naturale che Dorian abbia un rifiuto verso quest’opera d’arte, mentre per il pittore è l’opera maxima che abbia mai elaborato. Quindi mentre Basil esalta non la bellezza di Dorian in quanto tale, ma una bellezza artistica in quanto modello, Dorian è invasato dalla sua bellezza eterna. Vede invecchiare il quadro e non vede invecchiare lui, quindi questi sono i tre punti di vista differenti. Quelli dei personaggi restano gli stessi che ci sono nel romanzo, così come lord Henry Watton, essendo la voce di Oscar Wilde, nella sua deposizione fa ovviamente un inno all’estetica.”
“Siamo di fronte a un giallo?”
“No, non direi, perché tutti conoscono la storia. E’ come dire la storia di Amleto. Non c’è un giallo da dipanare dove c’è qualcosa da scoprire. Le cose più belle da scoprire sono le azioni dei tre personaggi in base a quello che sta accadendo e i tre risvolti psicologici che rispetto al romanzo sono messi più in evidenza. Dieci anni fa, nel 2009, quando ha debuttato lo spettacolo, la regia era firmata da Pino Micol e adesso viene ripresa da Brando Minnelli. Il copione di Manfridi mette in evidenza questi punti di vista più che risolvere un caso. Il pubblico non è chiamato a risolvere niente, ma a essere testimone di questi tre punti di vista differenti.”
“Quanto è rimasto del testo di Oscar Wilde?”
“Il linguaggio assolutamente wildiano che Manfridi fa attraverso quest’operazione e questa trasformazione da romanzo a testo teatrale. Non è un adattamento, ma una riscrittura ex novo.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Sara Di Giacinto per il supporto professionale