Chicco Dossi, “Nell’occhio del labirinto – Apologia di Enzo Tortora”

La mattina del 17 giugno 1983 Enzo Tortora fu arrestato con l’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Per il presentatore di Portobello seguirono due anni di calvario, tra accuse infondate di pentiti di mafia mai verificate dalla magistratura, processi, detenzione carceraria e arresti domiciliari. L’impatto della vicenda sui mass media fu devastante per Tortora. La vicenda giudiziaria lo screditò completamente, nonostante l’iter processuale concluso nel 1987 con l’assoluzione definitiva della Corte di Cassazione.

Sul palco del Teatro della Cooperativa va in scena in prima nazionale fino al 5 febbraio un monologo scritto da Chicco Dossi e interpretato da Simone Tudda su un fatto che divise profondamente l’opinione pubblica italiana per quattro anni. Per questa interpretazione l’attore è stato segnalato al Premio Hystrio alla Vocazione 2021.

Parla Chicco Dossi

La vicenda di due accuse gravissime ma infondate come traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico è da imputare solo alla superficialità dei magistrati o ci furono altre cause?

E’ una questione molto complessa: era stata promossa un legge sul pentitismo molto superficiale, che incoraggiava i pentiti a fare nomi grossi in cambio di forti riduzioni della pena. Da parte della magistratura ci fu cattiva fede, perché essere responsabili del crollo della nuova camorra organizzata avrebbe portato i magistrati a un avanzamento di carriera. I giornali erano stati inoltre complici nel promuovere notizie false per vendere qualche copia in più. Al posto di Enzo Tortora avrebbero potuto esserci Corrado, Mike Bongiorno o chiunque altro. Toccò invece proprio a lui, che era molto noto, ma fu un fatto casuale.

Questa è una vicenda accaduta 40 anni fa. Oggi si parla di fake news, di calunnie e di falsità ripetute che diventano verità. Sei d’accordo sul fatto che la macchina del fango funzionava già molto bene all’epoca, nonostante non esistessero ancora i social media?

Assolutamente sì. Questo è uno dei temi centrali del mio testo. Diciamo sempre che i social hanno provocato la nascita delle fake news, ma in realtà ci sono sempre state. Oggi è più difficile perché ci sono più notizie. Un tempo non c’era invece la possibilità di dimostrare il contrario: se un determinato giornale diceva che Enzo Tortora era stato trovato con 50 kg di cocaina, ci credevano tutti. Non c’era modo di dare una smentita.

La forza di Enzo Tortora fu la consapevolezza della propria innocenza, che lo portò ad affrontare con dignità i processi non sottraendosi alla giustizia?

La sua forza è stata quella di volersi fare carico della giustizia giusta. Una volta disse: “Spesso mi sono chiesto perché io.” Poi ha ribaltato la domanda chiedendosi “Perché non io?”. Era un personaggio pubblico; una volta eletto deputato, avrebbe potuto benissimo sottrarsi ai processi e sfruttare l’immunità parlamentare. Ha detto no perché ha voluto iniziare la sua battaglia per la giustizia giusta, oggi più che mai attuale e molto lontana dall’essere combattuta. Se pensiamo al caso Cospito, lo Stato applica una vendetta nei suoi confronti; non fa giustizia. E’ facile essere giusti nei confronti di un innocente, ma è più difficile esserlo verso un colpevole. La giustizia deve valere per entrambi.

Meritava qualcosa di più, secondo te, di una piazza intitolata a lui nel pieno centro di Milano?

Gli spettava sicuramente un risarcimento che non è stato garantito alla famiglia a causa dell’irresponsabilità dei giudici. Fu decretato infatti che non erano responsabili. Quelli che hanno vissuto il caso Tortora lo conoscono molto bene, chi non era ancora nato non ha la minima idea di cosa sia. La nuova generazione deve scoprire questa storia e farsi una propria opinione. Tocca a noi tramandare la vicenda di Tortora e continuare a combattere la battaglia della giustizia giusta perché non si ripeta più un fatto così.

  • Si ringrazia Giulia Tatulli
  • Foto in evidenza di Barbara Rocca
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