Michela Embriaco, “Il canto di Penelope”

La voce di Penelope racconta la sua verità, “sono diventata una leggenda edificante. Un bastone con cui picchiare altre donne. Non seguite il mio esempio, voglio gridarvi nelle orecchie! Ma quando cerco di gridare, la mia voce è quella di un gufo”. Il canto di Penelope, da cui Penelope racconta le vicende dell’Odissea, di se stessa e del suo essere un paradigma universale della condizione femminile, è ambientato nell’Ade ai giorni nostri.

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Il canto di Penelope è in scena al Pacta Salone di Milano fino al 20 marzo. Scritto da Margaret Atwood, lo spettacolo è adattato, diretto e interpretato da Michela Embriaco. La danzatrice in scena Elena Finessi ha firmato le coreografie video.

Parla Michela Embriaco

Qual è la verità di Penelope?

La Penelope della Atwood è una donna particolare, nel senso che lei la immagina nell’Ade e che parla da lì in un tempo indefinito ai nostri giorni. E’ quindi una donna consapevole che ha attraversato i secoli. Parla agli uomini e alle donne di oggi a partire da questa consapevolezza. Ci lascia sicuramente un monito perché dice alle donne di non seguire il suo esempio.

Che cos’ha portato all’impiccagione delle ancelle?

Secondo la versione della Atwood, sostanzialmente il fatto che Penelope aveva chiesto alle ancelle di fingere di amare i Proci e di riportare a lei tutte le cose che tramavano. Poi non ha avuto il tempo di avvisare Ulisse quando è tornato che era stata lei a ordinare alle ancelle di comportarsi in quel modo. Vive quindi con questo senso profondissimo di colpa nei confronti delle ancelle. E’ uno dei punti focali su cui si basa l’impianto del romanzo della Atwood e di conseguenza la riduzione teatrale che ne ho fatto io.

Che cosa c’era davvero nella mente di Penelope?

E’ una bella domanda. Uno dei suoi punti fissi era sicuramente il rapporto con le giovani ancelle. Tutto sommato lei era una principessa, una donna che pur non avendo alcuna possibilità di scelta, aveva dei privilegi, mentre le ancelle erano poco meno che merce. E’ quindi un po’ assorbita da questo pensiero. Poi naturalmente l’altro aspetto è che vuole mettere in ordine tutte le voci che nel corso dei secoli sono state raccontate su di lei, dagli aedi alle diversi versioni che conosciamo, quindi desidera fare un po’ di giustizia rispetto a tutte queste voci.

Perché l’autrice sostiene che ci sono troppe incongruenze nella storia?

Proprio in relazione a tutte queste narrazioni che sono state fatte su Penelope. Un esempio è quando lei indice la gara dell’arco al ritorno di Ulisse travestito da mendicante e gli aedi narrano che l’ha fatto per caso. L’arrivo di Ulisse e il fatto che lei abbia indetto la gara con l’arco sono stati una coincidenza. Lei però dice di sapere che solo Ulisse era in grado di tendere quell’arco e di averlo riconosciuto. L’ha quindi indetta apposta.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Giulia Colombo per la collaborazione
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