La fine della guerra, la fine di Hitler. Si è consumata un’enorme tragedia e, nello stesso tempo, la tragedia non riesce a compiersi. Eva, sola in scena, aspetta questa fine, un personaggio tragico cui è preclusa la dimensione del tragico. Eva è una donna che sta per morire ed è una donna innamorata. Innamorata di Hitler, fedele al suo amore fino all’ultimo istante. In questa tragedia mancata e grottesca, Eva è un’eroina per la quale non si può non provare tenerezza, nonostante tutto, proprio come se l’oggetto del suo amore potesse essere dimenticato.
Eva (1912-1945) è in scena alla sala Cavallerizza del Teatro Litta di Milano fino al 27 ottobre. Scritto da Massimo Sgorbani e diretto da Renzo Martinelli, lo spettacolo vede come unica protagonista Federica Fracassi.
Quattro domande a Federica Fracassi
“Perché non si può non provare tenerezza per Eva?”
“Non si può non provare tenerezza perché quello che lei attraversa, anche se è difficile dirselo, è qualcosa che può riguardare qualsiasi essere umano o anche qualsiasi donna, nel senso che quello che Massimo Sgorbani ha scritto riguarda Eva per l’attraversamento della paura da parte di una donna e per l’attrazione verso il male, per il costruirsi un immaginario per sfuggire alla vera relazione. Quindi c’è la paura di sé, di non essere accettata, di venire abbandonata, di non essere all’altezza di qualcosa, di amare l’uomo sbagliato, il potere, il mistero. Ci sono tantissimi temi che riguardano l’essere umano. E’ il motivo per cui Massimo Sgorbani ha scritto questa trilogia: non voleva far parlare Hitler, in quanto lui è il cattivo, ma tutto ciò che incarnava l’attrazione nei confronti del male, che in questo caso è incarnato da Hitler, ma potrebbe essere qualsiasi altra cosa.”
“In che modo la sua storia è simile a quella di Rossella O’ Hara?”
“E’ simile perché Rossella racconta di amare Ashley molto semplicemente e alla fine non le importa veramente. Quindi costruisce una relazione immaginaria che serve a lei, quasi come funzione. In un certo senso questo amore per Hitler è utopico perché Eva Braun, anche storicamente, vede Hitler pochissimo. Non è la prima della fila, ma l’ultima davanti ad altre donne o ad altre incombenze, ad altre stragi, a ciò che succede e alla guerra. Lo sposa nel bunker, si racconta che sia un matrimonio felice ma non può esserlo perché è amore e morte. Quindi Rossella in maniera più leggera sceglie un uomo che è un’icona. Sono uomini icone.”
“Si possono attribuire ad Eva una coerenza e una fedeltà fuori dal comune?”
“Sulla coerenza non lo so, è una parola che non mi piace tanto. Trovo impossibile per gli esseri umani essere coerenti. Penso che le si possa attribuire una fedeltà che forse è più incarnata da Blondie, il cane di Hitler. Eva è fedele, ma lo è di più a se stessa e al suo ideale che a Hitler. Le fa comodo avere un ideale di questo tipo per non permettersi di guardare in faccia alla realtà.”
“Qual è la paura più evidente in Eva?”
“Penso che Eva abbia paura di relazionarsi veramente con gli esseri umani, di innamorarsi veramente e di sentirsi amata. Mi sembra che in questa trilogia che abbiamo affrontato lei sia quella un po’ più umana, nel senso che Magda Goebbels parla per ideologie. Eva invece è legata a sentimenti molto umani ed emotivi. Ha reazioni emotive, quindi credo che le sue paure siano più relazionali e le ha verso l’uomo nero, l’amore, la morte. E’ qualcosa che riguarda il suo destino come essere umano, non tanto il destino dell’umanità.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli per il supporto professionale