Un gruppo di donne di Argo, madri dei guerrieri argivi morti nel fallito assalto a Tebe, si riunisce presso l’altare di Demetra ad Eleusi per supplicare gli ateniesi di aiutarle a dare degna sepoltura ai figli, poiché i tebani negano la restituzione dei cadaveri. L’accordo non viene però trovato e la guerra è inevitabile…
Serena Sinigaglia mette in scene al Teatro Carcano di Milano fino al 19 febbraio Supplici, uno dei grandi classici di Euripide sul crollo dell’umanesimo, in un difficile viaggio di amara consapevolezza e ricostruzione affidato a sette attrici: Francesca Ciocchetti, Matilde Facheris, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Giorgia Senesi, Sandra Zoccolan e Debora Zuin. La drammaturgia è di Gabriele Scotti, la traduzione è invece firmata da Maddalena Giovannelli e Nicola Fogazzi.
A tu per tu con Matilde Facheris
Che ruolo hai in “Supplici“?
Tutte noi abbiamo i sette ruoli delle madri, che chiedono la restituzione dei corpi dei figli. Non solo degli eroi argivi, ma anche di tutte quelle che subiscono la Storia e le guerre, come per esempio le madri di Plaza De Mayo. Entriamo portando i microfoni, come se fossimo sempre sotto i riflettori della stampa. Andiamo così a raccontare per l’ennesima volta la Storia. Io ho anche il ruolo del messaggero, che racconta della battaglia intrapresa da Teseo contro Tebe e Creonte su richiesta delle madri. Sono molto contenta di questa parte, perché esce un po’ dalla tragedia. Sembra infatti che il messaggero stia facendo la radiocronaca di una partita di calcio! Poi sono anche nel coro finale dei bambini, un altro terribile tassello dell’ineluttabilità della guerra, perché i figli degli eroi si vendicheranno…
C’è nello spettacolo la falsità di una democrazia che somiglia molto ad un’oligarchia?
Assolutamente sì. Quando Euripide ha scritto questa tragedia nel 423 a.C, la democrazia era appena nata ad Atene e c’era proprio una crisi dei nuovi valori democratici. E’ un testo che ha più di 2500 anni, ma è ancora attualissimo, per non dire contemporaneo! Un momento centrale dello spettacolo è proprio un agone: ci sono i valori della democrazia portati avanti da Teseo e quelli della dittatura sostenuti dall’ambasciatore tebano. Vediamo però che sono molto simili: non riusciamo infatti a dare ragione né all’uno né all’altro. Teseo è davvero così democratico? Il potere è realmente in mano a tutti e non a un uomo solo?
Euripide parla di pace e amore tra i popoli. E’ un’utopia da difendere perché è sempre più rivoluzionaria?
Sì, Euripide era molto pacifista, ma probabilmente era anche un po’ disilluso. Il testo vuole portare avanti il valore secondo cui la guerra non porta a nulla. Noi abbiamo fatto anche degli inserti drammaturgici in cui parliamo proprio di pacifismo rivoluzionario…
Quali? C’è una frase che ti è rimasta particolarmente impressa, tra tutte quelle dello spettacolo e se sì perché?
Sì, ce ne sono parecchie! Una non è di Euripide, ma di Emil Cioran, un drammaturgo rumeno: “l’unico modo per l’uomo di diventare migliore è accettare di perdere. Solo così sconfiggerà il mostro dentro di sé”.
Nel coro dei bambini mi ha colpito “ti vendicherò, padre, e verrà un’altra guerra”.
Ce n’è però anche un’altra semplicissima nel monologo di Etra: quando la madre di Teseo cerca di convincerlo, riuscendoci benissimo, a combattere la guerra dice: “l’uomo di potere deve fingere di avere tutte le buone qualità, ma deve sapersi muovere nel male“. L’obiettivo di un politico deve essere quello di saper mantenere il proprio potere. Però non dovrebbe essere così. Secondo Euripide, è Atena che porta l’ineluttabilità della guerra, ma in realtà è l’essere umano a farlo.
- Si ringraziano Cristiana Ferrari e Maurizia Leonelli
- Clicca QUI per iscriverti al canale YouTube di Teatro.Online e vedere le nostre interviste video