Il mobbing è una delle piaghe sociali più diffuse e discusse degli ultimi vent’anni. Facendo tesoro della propria esperienza, l’autrice, regista e interprete Monica Faggiani presenta al Teatro Linguaggicreativi di Milano dal 9 all’11 marzo il suo spettacolo Quel che resta. A proposito di mobbing, shocking e altre amenità. Un fenomeno in aumento quello delle vessazioni sul lavoro, di cui spesso le vittime non sono nemmeno consapevoli. Inoltre, complici la crisi e il timore di essere licenziate, le persone che subiscono questi soprusi hanno a volte difficoltà a parlarne. Ma attenzione, nonostante la complessità e la serietà di quest’argomento, l’autrice ci presenta un monologo in cui anche l’ironia e la capacità di ridere sono presenti.
Intervista a Monica Faggiani
“La cosa che mi ha colpito di più preparando quest’intervista è che tu nello spettacolo racconti la tua esperienza personale. Ce ne vuoi parlare un po’ anche in questa sede?”
“Io parto da una piccola esperienza legata a relazioni faticose, sia professionali che personali. Da lì la vicenda diventa spunto per riuscire a raccontare il deleterio e sotterraneo fenomeno del mobbing. Ho avuto conflitti con il mio datore di lavoro, che poi sono diventati quotidiani. Da lì è iniziata la spirale delle mansioni dequalificanti e a quel punto ho iniziato a essere sempre in ansia e nervosa. Arrivavo sul lavoro e mi sentivo male fisicamente, finché la situazione ha raggiunto un apice di litigi e scontri sempre più vessatori. A questo punto possono succedere due cose: o ci si fa licenziare o si abbandona il posto di lavoro. Io ho iniziato una trattativa per chiudere la mia posizione e sono andata via. Però ci ho messo tanto tempo, quindi è stato difficile.”
“Erano vessazioni che comprendevano anche approcci di natura sessuale?”
“No, era un aspetto più legato a relazioni che io definisco “tossiche”, guidate cioè da abusi di potere. Non avevano nulla a che fare con la sfera sessuale. Le relazioni tossiche sono spesso soprusi che comprendono vittime e carnefici, ma anche complici. Io nello spettacolo gioco molto sull’ironia e sul mio spirito di provocazione, perché mi sono scontrata con queste dinamiche. Quella vicenda mi è servita per parlare di questo meccanismo da un punto di vista prettamente femminile, anche perché le statistiche sostengono che sono più le donne a essere vittime di mobbing”.
“Fare questo spettacolo è stato anche un modo per esorcizzare l’accaduto?”
“Sì, anche se io non avevo mai scritto. Ho sempre fatto l’attrice e il mio lavoro è sempre stato quello di recitare parole di altri. In quel periodo ho iniziato a scrivere episodi romanzati e ho visto che ironizzare e riflettere su quanto mi succedeva era terapeutico. E’ stato un modo per esorcizzare il tutto e raccontare una storia di rinascita, quindi una storia “contagiosa” per gli altri. La gente dovrebbe sempre chiedersi se c’è qualcosa che non va e se la risposta è si, deve correre ai ripari”.
“E’ possibile uscirne?”
“Sì, io faccio un racconto passo dopo passo del modo in cui ho affrontato questa situazione: dai momenti più bui a quelli in cui mi sono chiesta se volevo tirarmi fuori davvero. Mi sono fatta aiutare con l’intervento di alcuni legali, ma soprattutto ho fatto un percorso mio di cambiamento grosso, di riappropriazione di me stessa e della mia identità personale. Io testimonio che da soli ce la si può fare ed è proprio il messaggio che voglio lanciare alle donne. Ho incontrato moltissime persone, sono stata al Centro Italiano Antimobbing e ho notato che le vicende sono tutte molto simili: si crea una dipendenza e si pensa che quella situazione sia l’unica possibile. A volte è l’epilogo a cambiare, con episodi molto brutti. Uscirne è molto difficile”.
“Cosa c’entrano Candy Candy e Persefone con tutto questo?”
“C’entrano tantissimo: Persefone racconta di una giovane fanciulla di nome Core, che decide di guardare negli abissi della propria anima rappresentati da Ade che la rapisce. Così lei abbandona le sue spoglie di fanciullina e diventa una donna matura, padrona di sé e che non ignora più la propria bellezza. Per Candy è la stessa cosa: ci troviamo di fronte a una ragazzina che inizia un percorso di consapevolezza attraverso due archetipi di amore: Anthony e Terence. Il primo è un giovane dolce e gentile che però muore di una morte violentissima, picchiando la testa su un sasso. E’ tristissimo, ma il fatto che lei cerchi per tutta la vita l’amore, che poi lo trovi e che il suo amato muoia in questo modo agghiacciante fa ridere.
Poi faccio un altro excursus molto divertente e chiedo al pubblico chi non si è mai innamorato di un Terence una volta nella vita, o almeno di un personaggio impertinente e sfuggente come lui, che oltretutto fa l’attore teatrale. Questo mio pezzo la dice lunga sul modo in cui le donne si relazionano con l’amore.”
“Immagino che tu abbia visto il film Mobbing del 2003, diretto da Francesca Comencini con Nicoletta Braschi. Cosa ne pensi?”
“Quando l’ho visto, “mobbing” era per me solo una parola, non evocava il suo significato reale. E’ un film che a quei tempi mi rattristò molto. Dovrei rivederlo, ma col senno di poi credo che questo aspetto sia giusto. Il sentimento generato dal mobbing non ci porta a ribellarci, ma a stare in una sorta di limbo difficile da percepire e che può durare per sempre. Ho conosciuto donne che subiscono mobbing da vent’anni e continuano a lavorare nello stesso posto di lavoro. Il film mi rimanda un’immagine subdola, non legata allo stalking, ma più sotterranea e sottile.”