Un monologo comico sul conflitto tra natura e spirito, tra eccezionalità e quotidianità, tra bisogni e sogni e di come tutti questi conflitti trovino nell’amore il loro campo di battaglia. L’amore come l’atto creativo e gratuito per eccellenza, l’amore che ispira la poesia e che domina su tutto e allo stesso tempo su niente.
Un ora di niente è in scena al Teatro Litta di Milano il 15 e il 16 giugno. L’autore è Paolo Faroni, che ne è anche l’unico protagonista.
Quattro domande a Paolo Faroni
Qual è l’essenza vera dell’amore che racconti nel tuo spettacolo e da dove nasce un titolo così curioso?
Il titolo all’inizio è nato perché non sapevo oggettivamente che cosa fare e quindi l’ho intitolato Un ora di niente. Poi, quando ha cominciato a delinearsi ciò ci cui volevo parlare, il niente è diventato il nucleo da cui ruota appunto lo spettacolo, prendendo spunto dalla regina Mab di Mercuzio, dove lui fa un discorso sull’amore, la passione e il desiderio che infatti è molto fantasioso e surreale, tanto più che Romeo gli dice: “Basta, perché tu parli di niente!” e Mercuzio gli risponde: “Sì, io parlo di sogni”. Quindi io ho preso spunto da lì, perché lo spettacolo verte intorno alla pulsione animale e umana e alla sua tendenza alla poesia e alle cose più elevate e spirituali.
L’amore è il luogo dove questo conflitto tra corpo, spirito, anima e natura si realizza, perché è un contesto in cui queste pulsioni escono all’ennesima potenza, si rivelano. Quindi il monologo è tarato fondamentalmente intorno a questo concetto, a questo conflitto che nell’amore trova la sua modalità espressiva più alta. A livello di argomento, è anche un tema che tutti possono comprendere. Nel voler descrivere questo conflitto, come esempio per descriverlo, ho scelto ovviamente qualcosa che tutti potessero riconoscere, perché credo che il conflitto tra corpo, spirito, natura e anima sia declinabile in tanti contesti. Però l’amore è quello che tutti riconoscono, per cui ho scelto quello.
Vorrei che tu commentassi questa frase di Vladimir Majakovskij: “L’amore è il cuore di tutte le cose. Se cessa di funzionare tutto si atrofizza, diventa superfluo, inutile”.
E’ curioso, perché a dirla è Majakovskij, un poeta che noi percepiamo – e lo è stato – come un grande poeta dell’impegno politico. Però lui in questa poesia, oltre a dire questo, dice pure che quest’importanza dell’amore è superiore anche a qualsiasi rivoluzione e a qualunque tipo d’impegno. Questo proprio a testimonianza del fatto che in realtà è un motore vitale e lo è anche in quest’impegno, tanto più che quando il suo amore per la politica in questo senso è finito, è finito per lui con un colpo di pistola.
Il tradimento di tutti i principi rivoluzionari non era solo il tradimento di un impegno politico, ma anche un tradimento quasi amoroso, proprio perché lui riversava questo tipo di sentimento anche nel contesto dell’epoca della rivoluzione e della ricostruzione di un Paese su basi politiche diverse. Venuta meno quella spinta, lui si tolse la vita. A testimoniare che lui aveva ragione, quando in seguito subentrò in Russia un altro tipo di potere fondato anche sull’odio, questo nasceva anche da un tradimento di quei principi pure a livello sentimentale. Quindi, dopo c’è stato spazio per violenze, soprusi e quant’altro.
Come si mescolano qui narrazione, stand-up comedy, cabaret e prosa?
Non è propriamente stand-up, perché la stand-up è un insieme di battute articolate intorno a macro-argomenti come la famiglia, la società e la religione. Invece, nel mio caso, questo concetto di cui parlo diventa esclusivo, nel senso che il monologo verte tutto intorno a questo conflitto e contrasto. Quindi la parabola drammaturgica è molto articolata, non è semplicemente un susseguirsi di battute anche a tema. C’è proprio una costruzione più complicata, perché volendo sviscerarlo, questo argomento pone una tesi, un’antitesi e una sintesi, anche se poi la sintesi non è intesa come una risposta. Anzi, il monologo finisce con delle domande. Però, a livello drammaturgico l’argomento è molto concentrato.
Quindi questo lo rende meno stand-up, perché ha bisogno proprio di un arco drammaturgico e io chiudo teatralmente, nel senso che c’è proprio una fine dichiarata, percepita come tale. In mezzo, la narrazione, la prosa e il cabaret si mescolano nel senso che quando devo entrare nelle situazioni comiche non sempre vado nel territorio della stand-up, ma a volte uso i mezzi della mia formazione attoriale per cui mescolo i generi. A livello di stand-up, è un po’ la poetica di fondo che racchiude tutto, nel senso che la stand-up è un genere molto diretto e concreto, non teatrale nel senso di una finzione recitativa. A livello di testo e di recitazione, entra in altri contesti di genere diversi.
Perché nel tuo spettacolo non fai sconti a nessuno, in primis a te stesso?
Perché il principio della stand-up sarebbe che uno ci mette la faccia, quindi per descrivere questo concetto io parto anche dalle cose personali mie. Mi uso per declinare ciò di cui parlo. Nel momento in cui mi uso, però, non mi difendo a livello scenico. Non applico dei filtri psicologici nei confronti di ciò che racconto per uscirne bene, perché non è che mi interessi uscirne bene o male o essere giudicato. Prendo spunto dalle cose che mi sono capitate, però su queste non applico un certo tipo di censura per nascondermi. In questo modo la comunicazione è molto diretta proprio per questo motivo. A quel punto, se non faccio sconti a me, posso anche permettermi di non farli agli altri!
- Intervista video di Andrea Simone
- Foto di scena del sito di Manifatture Teatrali Milanesi
- Si ringrazia Alessandra Paoli per la collaborazione