Dopo il successo del 2021 torna al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 5 febbraio lo spettacolo incentrato sulla vicenda di Matthew Shepard, ucciso a soli 22 anni nel 1998 nello stato americano del Wyoming e diventato un simbolo della battaglia dei genitori contro le discriminazioni ai danni del mondo omosessuale. Il testo è di Moisés Kaufman e dei membri del Tectonic Theater Project.
La traduzione è di Emanuele Aldrovandi. Il cast, diretto da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, è formato da Margherita Di Rauso, Giuseppe Lanino, Umberto Petranca, Marta Pizzigallo, Marcela Serli, Nicola Stravalaci, Umberto Terruso, Chiara Stoppa e Francesca Turrini.
La parola a Ferdinando Bruni
Su quali aspetti della cronaca si è concentrato di più il lavoro degli autori?
Oltre che sulla ricostruzione del delitto è focalizzato sugli effetti che l’omicidio di Matthew Shepard ha avuto sulla comunità di Laramie, che si proponeva come esempio di serenità, quieto vivere e modello di convivenza. Un’uccisione nata e generata proprio all’interno di questa comunità. Quindi lo sguardo degli autori che sono andati a Laramie a intervistare gli abitanti del posto dopo l’omicidio di Shepard si è proprio concentrato su questi effetti.
Il fatto ha portato anche nel 2009, a una legge intitolata a Matthew Shepard e James Byrd, ucciso a Jasper, in Texas.
Sì. E’ stata intitolata a due vittime della violenza, un omosessuale e un afroamericano. Dato però il funzionamento del sistema legale americano la legge non è valida in Wyoming. C’è anche questo controsenso con cui fare i conti. Ancora oggi, dopo tutto quello che è successo, dopo l’esperienza di questo spettacolo molto noto e rappresentato soprattutto nelle scuole come strumento educativo, molta gente a Laramie sostiene che il movente non è stato l’omofobia ma una rapina finita male. Quindi c’è molto lavoro da fare su questi temi.
Sono dunque l’omertà e l’incapacità ripetuta di prendere posizioni a portare a crimini di questa scelleratezza?
Si fanno molte considerazioni riguardo all’omicidio. Matthew era diverso dallo standard della popolazione locale: era un ragazzo raffinato, un intellettuale, uno studente universitario. Era fragile fisicamente, mentre lì è molto diffuso il modello del cowboy. Matthew rappresentava tutto quello che è diverso, ma che può anche essere oggetto di invidia e di odio sociale. Ci sono quindi tante componenti, oltre a quella omosessuale che è stata centrale e che ha portato al delitto.
Avete deciso di dare un impronta ancora più agguerrita a “Il seme della violenza” dopo la bocciatura del ddl Zan?
Credo che lo spettacolo parli in modo molto evidente di questi fatti. Il pensiero va immediatamente a questa situazione senza ulteriori sottolineature. Domenica 22 presenteremo un documentario girato dagli allievi della scuola di cinema Luchino Visconti mentre provavamo lo spettacolo. Il nostro lavoro verte nel contesto della lotta contro i crimini omofobici. Una lotta che in Italia non è ancora finita.