FRANCESCA FERRO E “IL SOGNO DI UNA NOTTE ALLA BICOCCA”

Cosa c’è di più lontano dai sogni? La realtà. Se poi parliamo di quella carceraria, la dimensione onirica diventa addirittura una proibizione. La prigione annulla desideri, progetti, ambizioni e identità degli esseri umani. Se però 11 detenuti si fanno guidare da un regista con l’obiettivo di riportare il teatro alla sua antica funzione catartica, tutto può cambiare. Soprattutto se proiettano loro stessi in un bosco in una notte d’estate, strizzando l’occhio al più grande genio del teatro, William Shakespeare.

Nell’ambito della rassegna Oltre l’arcobaleno 2021 promossa da Manifatture Teatrali Milanesi, Sogno di una notte alla Bicocca è in scena al Teatro Litta di Milano il 25 e il 26 maggio. Scritto e diretto da Francesca Ferro che ne è anche protagonista, lo spettacolo vede nel cast Agostino Zumbo, Rosario Minardi, Mario Opinato, Renny Zapato, Francesco Maria Attardi, Marco Fontanarosa, Giovanni Maugeri, Antonio Marino, Neculai Cattaneo e Dany Break.

La parola a Francesca Ferro

Sogno di una notte alla Bicocca” è un’idea molto originale. Com’è nata?

Io sono entrata nel carcere di Catania per mettere in scena Sogno di una notte di mezz’estate con i detenuti che hanno interpretato i ruoli. Poi lo spettacolo è diventato Sogno di una notte a Bicocca perché i carcerati hanno riscritto il testo attraverso delle improvvisazioni con le loro dinamiche e sensibilità, anche riambientandolo nei luoghi da loro vissuti. Quindi il Sogno di una notte di mezz’estate ha cambiato latitudine, tempo e personaggi per approdare all’interno di un carcere. Io ho preso il canovaccio dei detenuti reali e l’ho rifatto in prigione, ma l’ho solo riscritto e rimaneggiato. I veri autori sono i carcerati.

Funzione catartica a parte, che ruolo ha il teatro in questo spettacolo rispetto alla dimensione carceraria?

Lavorando con i detenuti, la funzione teatrale è stata anche terapeutica. Abbiamo ripetuto la stessa esperienza con degli attori che invece hanno interpretato i personaggi reali. All’interno di questo carcere che si chiama Bicocca, raccontiamo la storia di un percorso di persone vere che grazie al teatro hanno raggiunto finalmente una dimensione umana. A volte in prigione si tende a diventare solo esseri che si lasciano vivere.

Perché si parla di uno Shakespeare “catanesizzato?”

Perché quando ho presentato questo progetto, alcuni detenuti non sapevano quasi leggere. A loro il testo sembrava molto distante, quindi ho chiesto loro di improvvisare sulla base delle mie proposte. Io poi avrei preso appunti sulle loro improvvisazioni e riscritto tutta la commedia. La maggior parte erano tutti del Sud, quindi ne è uscito uno Shakespeare “catanesizzato”, addirittura ambientato al Boschetto della Playa anziché nella foresta. Paradossalmente le loro dinamiche somigliavano alla storia originale, perché Puck, il folletto ladruncolo aiutante di Oberon, rimaneva un birboncello; delle nostre zone, ma pur sempre un birboncello.

Quali aspetti ti hanno colpito di più nei caratteri dei detenuti?

Io sono entrata terrorizzata, perché ti parlo di un carcere dove ci sono detenuti che hanno commesso crimini di stampo mafioso, alcuni addirittura sottoposti al regime del 41 bis (il provvedimento adottato dalla legge Gozzini del 1986 che prevede il carcere duro per i mafiosi; n.d.r.). Fisicamente erano i prototipi del delinquente: uno per esempio aveva una cicatrice che iniziava dall’occhio e finiva sulla guancia! L’immaginario collettivo pensa che siano elementi di un’altra realtà, di un mondo parallelo. Una volta a contatto con loro, ho però capito che l’essere umano può ritrovare l’essenza della sensibilità attraverso l’arte e la cultura. Lo possono fare anche quelle persone che sembravano più pericolose, insensibili e “bestiali”. Frequentando Shakespeare hanno ritrovato un’umanità incredibile. Un’umanità, un affetto e un rispetto che io stessa non ho ritrovato da nessun’altra parte. Non mi sono mai sentita così utile nella mia carriera di attrice come in quell’istituto penitenziario.

La promozione di MTM

Ricordiamo al pubblico che chi si presenterà alla cassa con la scritta DDL ZAN sul palmo della mano, riceverà un ingresso a soli 10 euro anche per assistere a questo spettacolo. E se tutto questo dà fastidio a qualcuno (leghista o fuoco amico che sia) perché lo ritiene discriminatorio, come si diceva ai tempi dei nostri genitori, “è un problema suo”.

  • Foto di Gianluca Primaverile
  • Si ringrazia Alessandra Paoli per la collaborazione