MARCO LORENZI, “FESTEN, IL GIOCO DELLA VERITÀ”

Nel 1998 il film Festen vinse il Gran Premio della giuria al 51° Festival di Cannes. Nel 2021, il suo regista, il 52enne danese Thomas Vinterberg, ha ricevuto ben due nomination agli Oscar come miglior film straniero e come miglior regista. Festen racconta la storia di una grande famiglia dell’alta borghesia danese, i Klingenfeld, che si riunisce per festeggiare il sessantesimo compleanno del patriarca Helge. Alla festa sono presenti anche i tre figli: Christian, Michael ed Hélène. Il momento di svolta sarà il discorso di auguri del figlio maggiore Christian, che una volta pronunciato, cambierà per sempre gli equilibri familiari…

Recensione e immagini del canale Youtube della tv “Telequattro”

Festen, il gioco della verità è in scena al Teatro Fontana di Milano dal 18 al 27 giugno. La versione italiana e l’adattamento sono firmati da Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi, che ne è anche il regista. Sul palcoscenico troviamo protagonisti Danilo Nigrelli, Irene Ivaldi, Roberta Calia, Yuri D’Agostino, Elio D’Alessandro, Roberta Lanave, Barbara Mazzi, Raffaele Musella e Angelo Tronca.

La parola al regista Marco Lorenzi

Perché questo spettacolo scava all’interno dei tabù più scomodi?

Perché utilizza uno degli stratagemmi drammaturgici e letterari per eccellenza come quello della famiglia, della microsocietà che la famiglia rappresenta, per poi andare a fare in realtà una riflessione molto più ampia su una dimensione politica molto più grande, ovvero il nostro rapporto con la verità e con il potere, e come il nostro rapporto con il potere influenza il nostro rapporto con la verità. Detto questo, come lo fa? Lo fa attraverso una favola, quella che racconta la storia del sessantesimo compleanno di un capofamiglia dell’alta borghesia danese, e ripercorrendo una festa all’interno della quale si fanno emergere una serie di particolari scomodi, di verità taciute e manipolate che hanno anche a che vedere con il fatto che l’amore è una parola molto spesso vuota, anzi, vuol dire esattamente il suo contrario.

L’amore viene usato esattamente come strumento di manipolazione e queste verità che piano piano emergeranno andranno a raccontare uno dei tabù più inquietanti della nostra civiltà, ovvero l’incesto, la violenza e il fatto che ogni comunità e ogni società piccola o grande che sia, fondamentalmente da un punto di vista storico si costruisce e basa le proprie fondamenta su atti di violenza. Le civiltà pongono sempre le loro prime pietre su atti di sangue.

Come mai si possono fare dei parallelismi con “Amleto”, la tragedia greca, ma anche l’universo favolistico dei Fratelli Grimm?

Perché Festen, il film di riferimento, sotto al primo livello narrativo nasconde una serie di verità e di debiti verso archetipi classici più ancestrali, che ci ricollegano direttamente con quelle che sono le grandi basi della cultura occidentale, dalla tragedia greca a Shakespeare e alle favole nordiche. Ma questo semplicemente perché ogni forma di racconto e di rappresentazione che la civiltà ha trovato cerca di affrontare sempre gli stessi temi.

Nelle note di regia, tu parli di una tecnica particolare: un gigantesco piano sequenza. Vuoi spiegare di cosa si tratta?

Il tema ha determinato la scelta. Affrontiamo una materia che ci mette di fronte alla scelta di quale realtà e quale verità guardare, ma soprattutto cosa scegliamo di guardare quando le cose ci vengono mostrate davanti agli occhi o perché non le guardiamo. Quindi, partendo da questo tema, siamo andati alla ricerca di un lavoro con gli attori, con lo staff creativo, in una forma che potesse provocare il pubblico e renderlo attivo verso questi temi.

Per questo siamo arrivati a un gigantesco piano sequenza girato contemporaneamente sul palcoscenico dagli attori stessi e proiettato su un tulle, su un velatino, che è una specie di diaframma che separa gli spettatori e gli attori, quindi il pubblico ha due piani di realtà in contemporanea: sia la realtà che accade sul palcoscenico teatrale sia il racconto filtrato attraverso l’occhio della telecamera. Dunque può scegliere cosa guardare e porsi il problema di che cosa sta guardando.

In che cosa il vostro spettacolo è diverso e in che cosa è simile al famoso film di Thomas Vinterberg?

E’ simile perché dolorosamente la trama è talmente dolorosa, eclatante e meravigliosa che viene rispettata nei suoi snodi principali e nel suo svolgersi. E’ diverso perché i media sono diversi, il supporto è diverso. Il cinema viaggia attraverso un linguaggio ovviamente più naturalistico e realistico, mentre il teatro fa suo un linguaggio fatto di simboli e di metafore. Quindi tutto il realismo del film è stato completamente preso a colpi di bazooka e sostituito da un mondo molto più metafisico e simbolico, che è proprio quello del teatro.

  • Foto di scena di Giuseppe Di Stefano
  • Si ringrazia Martina Parenti per la collaborazione