“FIGLI DI UN DIO MINORE”: 5 DOMANDE A GIORGIO LUPANO

 

figli-di-un-dio-minore-1Per la prima volta sul palcoscenico di un teatro italiano arriva “Figli di un Dio Minore” di Mark Medoff, storia di un dramma romantico che sfida le regole, abbatte le barriere e parla dritto al cuore.

Lo spettacolo è in scena fino al 6 novembre al Teatro Franco Parenti di Milano, con la regia di Marco Mattolini e la traduzione di Lorenzo Gioielli. Ne sono protagonisti Giorgio Lupano e Rita Mazza. Completano il cast Cristina Fondi, Francesco Magali, Gianluca Teneggi e Deborah Donadio. Il “tema di Sara” è composto e interpretato da Giorgia.

Già reso celebre dallo splendido film del 1986 con William Hurt e Marlee Matlin, “Figli di un dio minore” ci racconta la storia di James Leeds, un giovane insegnante dai metodi poco convenzionali, che riceve l’incarico di insegnare in un istituto per sordomuti. Il professore riesce a conquistare tutti i ragazzi, ma è costretto a scontrarsi con l’ex allieva Sarah, interpretata dall’attrice sordomuta Rita Mazza. Tra i due mondi nascono barriere di incomunicabilità alte come montagne e sarà proprio compito di Leeds cercare di abbatterle.

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Giorgio Lupano

A interpretare il ruolo dell’insegnante, che nel film fu di William Hurt, è Giorgio Lupano, che Teatro.Online ha intervistato.

“Tu hai dichiarato: ‘Dopo il debutto con Luca Ronconi, un’esperienza teatrale oltreoceano e la mia prima regia andata in tour per sei anni, questo spettacolo mi ha cambiato la vita’. Ci racconti in che modo?”

“Mi ha dato un punto di vista diverso sulle cose, cioè quello delle persone sorde. Questo spettacolo parla dello scontro e dell’innamoramento tra un insegnante logopedista e una ragazza sorda. Ovvero di tutte le difficoltà che la comunicazione tra mondi diversi con lingue e culture differenti possono incontrare. E’ stato un percorso che mi ha portato a una considerazione molto importante: le cose non sono esattamente come le vediamo, come le immaginiamo o come siamo sicuri che siano”.

“In che cosa sta la forza di questa storia d’amore?”

“La storia d’amore è un pretesto per raccontare l’incontro tra questi due mondi e queste due culture. Tutto comincia con lui che vuole insegnare a parlare a lei e lei che gli risponde: ‘Perché devo venire nel tuo mondo di suoni e di parole? Io ho la mia lingua, è buona quanto la tua. Impara tu la mia’. Poi tutto si evolve con la ricerca di un terreno comune da parte di entrambi che però non trovano. Perciò si dicono: ‘Io ti aiuterò a entrare nel mio mondo se tu mi aiuterai a entrare nel tuo’. Il risultato è dunque un’ammissione molto importante: ‘Ci possiamo incontrare, ma tutti e due dobbiamo andare verso l’altro’. Un vero classico!”.

“Per calarti meglio nel ruolo, hai affrontato un anno e mezzo di corso intensivo all’Istituto Statale dei Sordi di Roma. Che tipo di esperienza è stata?”

Giorgio Lupano: “Nel processo di creazione dello spettacolo è stata fondamentale. Perché non si è trattato solo di imparare quella parte di lingua dei segni che mi consente di fare lo spettacolo. Ho dovuto entrare in un’altra cultura. Quindi non abbiamo lavorato soltanto con gli insegnanti o con gli interpreti, ma anche con dei mediatori culturali. Persone cioè che senza mai avere avuto un approccio con il teatro ti dicono se quello che stai facendo con un sordo è giusto o sbagliato. Ci hanno spiegato come rapportarci con i sordi, che sono incredibilmente più aperti e ricettivi di noi. Il lavoro che ho fatto con queste persone è stato fondamentale ed è cominciato molto prima delle prove dello spettacolo stesso.

“Per te deve essere stata una vera e propria scuola di vita”.

Giorgio Lupano: “L’istituto ha organizzato anche dei seminari per trovare un terreno comune su cui lavorare. Ho conosciuto persone sorde e udenti che lavorano in questa realtà. Mi hanno aperto un mondo. Grazie a loro il mio viaggio all’interno della lingua dei segni è stata una continua scoperta. Ho abbandonato tutte le convinzioni e convenzioni che avevo. A cominciare dal fatto che si chiamano sordi e non ‘non-udenti’, perché nessuno vuole essere catalogato in base a una cosa che non può fare. Molti parlano del linguaggio dei segni; invece è la lingua dei segni. Sono segni e non gesti. La differenza tra gesto e segno è la stessa che c’è tra verso e parola. Ci esprimiamo a parole, non a versi. Se noi osserviamo il mondo dal punto di vista dei sordi, cioè di una minoranza, vedremo moltissime differenze”.

“Quanto avete preso ispirazione e quanto avete voluto invece prendere le distanze dal famoso e bellissimo film di 30 anni fa?”

“Il film è molto più romantico, perché essendo una produzione hollywoodiana doveva avere un lieto fine. Ha tagliato una grande parte politica: cioè il fatto che negli Anni 80 cominciavano le proteste dei sordi costretti ad andare in scuole gestite da udenti. Essendo invece persone sorde e avendo una propria lingua, una propria cultura e un proprio mondo, volevano essere gestiti e istruiti da persone che conoscessero quel mondo. Questo viene raccontato nello spettacolo, nel film manca. La differenza è questa. Poi il testo ha generato il film, quindi la storia e i personaggi sono quelli. Noi però abbiamo anche cercato di raccontare il periodo in cui si svolge. Il film invece predilige la storia d’amore”.