Caterina Filograno, “L’ultimo animale”

Cristi vive in affitto a casa di Giudi, sua migliore amica. Il rapporto tra le due ragazze si incrina negli anni soprattutto per via di un buco che occupa una parete nella camera di Cristi, e che Giudi si è sempre rifiutata di far riparare. Quel buco è abitato. E saranno proprio i suoi abitanti a fungere da motore della storia dello spettacolo L’ultimo animale, scritto e diretto da Caterina Filograno e in scena al Teatro i di Milano fino al 10 aprile. Ne sono protagoniste Francesca Porrini, Alessia Spinelli, Emilia Tiburzi, Anahi Traversi e Carlotta Viscovo.

Quattro domande a Caterina Filograno

Perché sono gli abitanti del buco nel muro il motore dello spettacolo?

Perché determinano le sorti delle protagoniste, nel senso che finché gli animali vengono nutriti e soddisfatti nei loro bisogni essenziali lo status quo può essere mantenuto. Quando però la protagonista Cristi, proprietaria delle bestiole, dimentica per troppi giorni di dargli da mangiare, loro danno vita a una sorta di “golpe”, quindi si ribellano.

Come mai Giudi si è sempre rifiutata di far riparare il buco?

Essendo la proprietaria di casa, come spesso succede a chi ha i soldi, si dimentica di farlo più per negligenza che per volontà, accampando scuse perché magari ha altre priorità. Non la mette quindi in cima alla lista delle cose da fare, anche perché il buco non è in camera sua, ma in quella della sua affittuaria nonché migliore amica, quindi la cosa non la tocca più di tanto.

Quanto è forte il tema della lotta di classe?

E’ l’argomento su cui si basa l’intero spettacolo. Durante una delle scene finali dello spettacolo, Giudi dice a Cristi che il suo fidanzato sarebbe andato a vivere con lei. Cristi le risponde che pensava che il contratto d’affitto le venisse rinnovato. A quel punto Giudi le dice che data la scadenza imminente, dava per scontato che se ne sarebbe andata. Il discorso si fonda quindi tra chi è più ricco e chi è più povero, tra proprietario e affittuario. Gli animali sono alla fine. Cristi dipende da Giudi che le deve dei soldi, mentre gli animali dipendono da Cristi che deve dar loro da mangiare. Lo spettacolo si fonda su equilibri e dinamiche di potere. Giudi è in cima alla piramide, gli animali alla base e Cristi in mezzo.

Perché nelle note di regia ha definito questo spettacolo “il suo urlo di Munch”?

Perché mi ritengo una femminista nei fatti e non nelle parole. Ora va tanto di moda il “politicamente corretto” derivante dalla società americana estremamente puritana e ipocrita, per cui bisogna stare attenti a come si parla. Secondo me sono tutte cretinate perché non si può imporre l’evoluzione del linguaggio. E’ una cosa che succede normalmente. Invece, c’è stato il problema di disparità tra uomo e donna, soprattutto dal punto di vista lavorativo. Nel mondo del teatro, per esempio, i provini per le donne sono pochissimi, perché i registi per esprimersi portano in scena soprattutto i classici, come Shakespeare o Cechov, dove i ruoli femminili sono in media tre su nove. Le donne quindi lavorano molto meno. Dunque io che cosa ho fatto? Ho detto che se in uno spettacolo ho due o tre parti femminili e due o tre ruoli neutri, piuttosto che dare questi ultimi agli uomini, li do tutti alle donne e le faccio lavorare di più.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringraziano Francesca Garolla e Maria Gabriella Mansi per la collaborazione
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