Debutta giovedì 25 gennaio al Teatro Filodrammatici di Milano, dove rimarrà in scena fino a domenica 11 febbbraio, La scuola delle scimmie, uno spettacolo scritto e diretto da Bruno Fornasari, con Tommaso Amadio, Luigi Aquilino, Emanuele Arrigazzi, Sara Bertelà, Silvia Lorenzo, Giancarlo Previati e Irene Urciuoli. La pièce è ambientata nel Tennessee nel 1925, quando John Thomas Scopes, un professore supplente di biologia, viene processato per aver violato una legge che sostiene l’insegnamento della teoria darwiniana a scuola. 90 anni più tardi, in Italia, nel 2015, un professore di scienze naturali torna ad insegnare nel suo quartiere d’origine. Le difficoltà di integrazione sono il principale problema della scuola di periferia in cui si trova ad operare e il rischio di radicalizzazione delle differenze tra varie etnie e culture è una bomba dalla miccia molto corta e infiammabile.
Quattro domande a Bruno Fornasari
“Quali sono i valori principali del professore?”
“La cosa fondamentale è cercare di riscattare l’immagine del fratello, o meglio, cercare di dare un senso alla tragedia della morte del fratello arruolato nelle fila di un esercito islamico. Vuole fare in modo che altri ragazzi non cadano nello stesso tunnel. Lui non identifica nell’Islam un tunnel, lo fa nel fanatismo, quindi nel fatto di non riuscire a leggere la realtà in modo critico e ad avere la giusta distanza dalle cose che accadono, che è quello che cerca di insegnare. Quindi il suo valore principale è credere molto nell’efficacia della pedagogia”.
“Spieghiamo meglio la questione della 500 parcheggiata in Stazione Centrale?”
“La seconda legge della termodinamica dice che i processi in un sistema chiuso tendono al massimo livello di disordine, quindi al massimo grado di entropia. Se noi abbiamo un sistema dentro al quale non mettiamo nessuna forza esterna, il sistema non rimarrà ordinato e strutturato come una macchina nuova, ma tenderà a rovinarsi come un’auto che subisce intemperie, si sgonfiano le ruote e comincia a perdere energia da tutte le parti. Se invece qualcuno va, la pulisce ogni volta, tiene le gomme gonfie, mette la benzina e la usa, quest’automobile sarà percepita come nuova. Se non c’è qualcosa che mette energia dentro un ambiente e a un sistema, quell’ambiente tenderà a perdere la propria vita e la propria energia”.
“Le due epoche in cui è ambientato lo spettacolo sono in realtà più vicine di quanto si immagini, giusto?”
“Assolutamente sì, perché di fatto c’è il paradosso che io uso tra le due epoche, che sono entrambe collegate da questo bisogno di estremismo, che poi è tipico dell’essere umano. Se pensiamo a una condizione molto semplice di dialogo con una persona che in quel momento non è d’accordo con noi, finché quella persona sta parlando, stiamo davvero ascoltando le sue ragioni o stiamo aspettando di rispondere alle nostre? Questo ci mostra che tipo di inclinazione naturale abbiamo verso le cose che ci interessano. Nel 1925 c’era il paradosso che a essere considerato fanatico è il professore che insegna scienze, perché la legge dello Stato vietava di insegnare l’evoluzione di Darwin”.
“A che cosa cerca di educare i ragazzi il professore?”
“A risolvere i conflitti senza ricorrere alla violenza e l’unico modo per lui è quello di ascoltare davvero qual è il problema di chi ci sta davanti”.