Visto l’incremento della dipendenza da giochi d’azzardo in Italia, il Giocatore, portando in scena le conseguenze della ludopatia, si pone l’obiettivo di sensibilizzare la comunità, con particolare attenzione ai giovani, che sempre più spesso cadono vittime delle dipendenze da gioco. La drammaturgia parte da un testo poco conosciuto di Carlo Goldoni (Il Giuocatore), il quale disegna con grande efficacia le conseguenze del gioco d’azzardo sul corpo del suo protagonista.
La Fortuna è in scena al Teatro Delfino di Milano dal 18 al 21 ottobre. Il testo e di Marika Pensa e Omar Nedjari, che ha firmato anche la regia. Ne sono protagonisti Enrico Ballardini, Michele Bottini, Giulia D’Imperio, Sergio Longo, Enrico Maggi e Marika Pensa.
La parola a Omar Nedjari
“Perché avete scelto di affrontare un tema come quello della ludopatia?”
“Innanzitutto inizialmente la mia idea non era quella di affrontare specificamente il tema della ludopatia. Il mio interesse era affrontare il tema della dipendenza da qualcosa. Ho letto “Il Giuocatore” di Carlo Goldoni, uno dei testi poco conosciuti, e subito mi ha portato alla mente un altro testo di Dostoevskij. Ho subito pensato che potessero essere utili per parlare della dipendenza, perché i suoi meccanismi sono molto simili. La mente umana è facile all’assuefazione e alla dipendenza. Ormai tutti quanti siamo dipendenti da qualcosa. Basta chiedere a chiunque di rinunciare al cellulare per una settimana e poi ci si accorge che siamo dipendenti da esso. Ho pensato che fosse un testo che poteva parlare di qualcosa che mi premeva molto. Quindi questa è stata la prima cosa: parlare della dipendenza. Siccome si parlava di gioco d’azzardo, ho pensato che rappresenta un problema in Italia. Parlando con persone a me vicine, mi è stato detto che si fanno delle iniziative contro il gioco d’azzardo. Allora mi sono messo in contatto con il Comune di Milano e la rete civica Milano No Slot, che ci hanno subito supportato in questo progetto. Abbiamo quindi anche il supporto del Comune e per me è una cosa molto bella e importante.”
“E’ uno spettacolo che ha l’obiettivo di sensibilizzare la comunità?”
“E’ uno spettacolo che ha l’obiettivo di essere il più bello possibile. Vuole parlare di qualcosa che ha a che fare con l’umano. Credo che potrà sensibilizzare la comunità, ma l’intento è quello di fare una bella opera d’arte e di parlare di qualcosa che ci tocca profondamente, come quei meccanismi umani che ci terrorizzano, che ci spaventano o che ci fanno arrabbiare. Di conseguenza, essendo un meccanismo umano condiviso da moltissime persone, io credo che toccherà le corde di molti. Chi ha avuto modo di vedere parti delle prove in questi giorni dice che è uno spettacolo che arriva, che tocca chi conosce persone che hanno avuto amici preda della ludopatia e chi è stato vittima di una dipendenza. Questo esempio è interessante perché c’è una persona che è venuta alle prove che è stata vittima di una dipendenza e non era il gioco d’azzardo, ma ha visto nel comportamento del giocatore la vittima di una dipendenza. Quindi io credo che toccherà la comunità. L’arte vuole coinvolgere, non semplicemente sensibilizzare. Vuole provare a entrare nel cuore delle persone, nella loro testa e nei sentimenti.”
“Che apporto hanno dato i testi di Goldoni e Dostoevskij?”
“Sono fondamentali. Il testo di Goldoni è sostanzialmente la struttura drammaturgica dello spettacolo. La costruzione parte solidamente dal testo di Goldoni e questo è fondamentale perché Goldoni è un costruttore di impianti perfetti, di macchine a orologeria. Dostoevskij invece si interseca nella maglia della struttura goldoniana rendendola più asciutta. Partendo dall’idea di Dostoevskij, ho asciugato e limato il testo e le battute. Un apporto fondamentale è sulla figura femminile. C’era questa figura femminile che si chiama Beatrice che in Goldoni era un personaggio completamente diverso. Ho preso la figura femminile che c’è in Dostoevskij e l’ho fatta entrare all’interno del testo, ho dato a lei le motivazioni e ho messo in bocca al personaggio che si chiama Beatrice le sue parole.”
“Il protagonista è dipendente da se stesso?”
“E’ una dipendenza narcisistica, quanto meno è la mia impressione. La società preme continuamente chiedendo alle persone di essere dei vincitori, di essere migliori. Se non abbiamo successo, è colpa nostra perché siamo degli incapaci. Siamo in una società che spinge verso la continua realizzazione del sé. Se questa cosa non accade, la persona si sente in difetto e cerca una via facile che lo porti al successo. Dice: “Se io vinco questi soldi, mi tolgo facilmente questa pressione.” Quindi io penso che sia qualcosa che ha a che fare con un bisogno narcisistico di approvazione. Abbiamo cercato di lavorare in questa direzione. Naturalmente non è l’unica ragione per cui si gioca, ce ne sono diverse e abbiamo provato a indagarle. Però la parte che a me interessava del meccanismo delle dipendenze è questa: sfuggire alla pressione vera o presunta di una società che spinge alla continua realizzazione del sé.”