Un viaggio nel mondo della musica alternativa in compagnia degli ultimi sognatori duri e puri per cui essere è più importante che apparire. Robert e Patti racconta il percorso di un’artista che non ha conosciuto il successo, ma che non riesce a rinunciare alla sua arte e al ricordo del suo grande amore. I personaggi scritti su misura per Ida Marinelli e Riccardo Buffonini hanno lo stesso nome di Patti Smith e Robert Mapplethorpe, hanno sfiorato le stesse persone, vissuto negli stessi luoghi, ma non sono riusciti a diventare altrettanto famosi.
Robert e Patti è in scena dal 19 ottobre al 14 novembre in prima nazionale alla sala Fassbinder del Teatro Elfo Puccini di Milano con la regia di Francesco Frongia e il testo di Emanuele Aldrovandi. Nel cast anche Loris Fabiani.
Parla Francesco Frongia
Perché avete scelto di non far diventare famose due icone del rock e della fotografia come Patti Smith e Robert Mapplethorpe?
L’idea di Emanuele Aldrovandi era quella di costruire un personaggio nato nello stesso periodo, vissuto negli stessi posti, cresciuto nutrendosi dello stesso ambiente sociale e culturale, però a differenza di Patti Smith e Robert Mapplethorpe non sono diventati famosi. Quindi abbiamo il testo che, oltre a essere una commedia e basarsi su una grande storia d’amore, racconta anche le stranezze della vita, per cui a parità di condizioni non è detto che uno diventi famoso, ma questo non significa che non sia un artista. Che cosa determina l’essere artista o meno? La fama o il bisogno di espressività?
Che cosa rappresenta il loft nello spettacolo?
Il loft è l’ambiente, lo studio, la casa in cui la nostra Patti Johnson vive, lavora, studia, cerca di produrre la sua arte ed è soprattutto il luogo in cui ha accumulato i ricordi. E’ uno spazio immersivo. Per lo spettatore significa entrare nel suo appartamento ma anche nella sua storia, nel suo vissuto, nei suoi affetti e nei suoi ricordi. Quindi vuol dire entrare in contatto con il personaggio.
Quanto si sente la mancanza di quella New York degli anni Settanta?
Credo che non si senta soltanto la mancanza di quella New York ma anche di quel mondo. Potremmo definirli “gli ultimi sognatori”, gli ultimi che avevano il coraggio di un pensiero utopico. Credevano che attraverso le canzoni si potessero cambiare il mondo e le persone e arrivare a vivere in un mondo migliore. Adesso è tutto molto più difficile. Abbiamo perso quest’illusione e forse in quell’ingenuità anche qualcosa di noi stessi, tra cui la bellezza degli incontri e dei sogni. Non è cambiata solo New York ma anche il mondo.
Di recente Patti Smith è venuta in Italia. Sa che è stato fatto uno spettacolo su di lei?
Non lo so. In ogni caso la storia ha indubbiamente a che fare con Patti Smith. Il punto di partenza è stato il suo libro Just kids, però la storia è completamente inventata. Infatti il primo che vediamo in scena è l’agente della nostra Patti Johnson, che forse si divertirebbe pensando che c’è una persona in qualche modo costretta a cantare le sue canzoni per sopravvivere. Non so se esista davvero una cover band del Patti Smith group, però se esistesse, potrebbe forse divertirsi. Comunque il motore di tutto quanto è stato che la nostra Patti Johnson sta per essere sfrattata dall’appartamento dove lei vive e dove ha sempre vissuto fin dai tempi di Nixon. Credo che a Patti Smith questo non succederà!
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- Intervista di Andrea Simone
- Foto in evidenza del sito del Teatro Elfo Puccini