Lucio Battisti è stato una vera e propria pietra miliare della musica italiana. Oggi gli rende onore anche il teatro, con uno spettacolo in scena a Milano sabato 19 febbraio al Teatro Leonardo. Assisterete così a un viaggio nell’indimenticabile carriera del cantautore, dai successi degli anni ‘60 fino a quelli dei primi anni ‘80. Deus ex machina di questa bella iniziativa è Emiliano Galigani, che dirige un affiatato gruppo formato da Terry Horn, Matteo Giusti e Susanna Pellegrini al canto, Giampiero Morici alle chitarre, Alessandro Pellegrini alla batteria, Alessandro Nottoli al basso e Simone Giusti alle tastiere.
La parola a Emiliano Galigani
Come mai avete scelto proprio Lucio Battisti?
La scelta rientra in un percorso che stiamo facendo ormai dal 2015, che analizza la vita e la storia di diversi autori contemporanei: cerchiamo di tramandarne il percorso e il contesto storico in cui hanno vissuto.
Quali sono i sentimenti, magari anche contrastanti fra loro, che emergono di più dalle sue canzoni?
Viene sicuramente fuori una grande attenzione verso alcuni grandi temi universali della vita: in primis l’amore, ma anche qualche tensione sociale che si viveva all’epoca e che in qualche maniera veniva trasposta nei suoi brani. Per esempio il femminismo e il Sessantotto, che rientravano comunque nell’alveo delle esperienze fatte dagli autori in quel periodo; da Battisti a livello musicale e da Mogol sul piano dei testi. Ovviamente, quindi, venivano poi ributtate nella musica.
Vuoi anticiparci qualcuno dei brani che eseguirete?
Sono i grandi classici, ma in realtà seguiamo un percorso cronologico che parte dal 1969. Iniziamo quindi con brani come Mi ritorni in mente, Il tempo di morire, Anna, Emozioni, Insieme, Dieci ragazze, per attraversare poi tutto il periodo degli anni Settanta. Ecco quindi Eppur mi son scordato di te, Pensieri e parole, I giardini di marzo, La collina dei ciliegi. Arriviamo infine al momento più “americano” di Battisti dovuto alla sua collaborazione con autori statunitensi. Eseguiremo dunque Sì viaggiare, Una donna per amico, Amarsi un po’ e Il nastro rosa, che conclude virtualmente il percorso fatto da Battisti con Mogol.
C’è un valore aggiunto dato allo spettacolo da una parte visiva. In chiusura vuoi approfondire questo aspetto?
Noi abbiamo un format allo studio ormai da sei o sette anni, che abbiamo applicato con vari autori. Lo chiamiamo “il rockumentary”, perché associa in qualche modo una resa musicale il più fedele possibile agli arrangiamenti originali al tipo di visione da parte dello spettatore. Quello che c’è in più è infatti che il pubblico si mette a sedere in una sala, ascolta musica che conosce, ricorda o scopre. Ciò che però vede sullo schermo è in qualche maniera un percorso storico che non riguarda solo l’autore, ma anche la storia del costume: chi eravamo in Italia in quel periodo, cos’è successo e il modo in cui gli artisti sono stato influenzati dall’ambiente dell’epoca. Nel caso di Battisti c’è anche un’analisi del suo tracciato artistico, delle influenze del momento e del modo in cui queste hanno condizionato colossi musicali come Mina.
Battisti ha scritto per moltissimi artisti del periodo. Questo ha portato a un’evoluzione della musica italiana che noi raccontiamo. La speranza è quindi che ci si emozioni di fronte a qualcosa che tutti conosciamo, ma che allo stesso tempo si esca dal teatro anche con qualche informazione in più. Un po’ come dicono le canzoni di Battisti: pensieri e parole!
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli per la collaborazione
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