“GEPPETTO E GEPPETTO”, UN BIMBO CON DUE PAPA’

 

Il delicato quanto attuale tema dell’omogenitorialità arriva a teatro con uno spettacolo sensibile e intelligente scritto da Tindaro Granata, in scena al Teatro Elfo Puccini dall’11 al 17 dicembre 2017. Tony e Luca sono una coppia rodata da anni e vogliono diventare una famiglia. Così volano in Canada e decidono di avere un figlio proprio come Geppetto, il primo papà single della storia. Nasce dunque Matteo. Felicità e spensieratezza sono gli stati d’animo che caratterizzano di più i primi tempi, fino a quando la morte di Tony e lo scorrere inesorabile del tempo spingono Matteo a fare una domanda a Luca: perché la sua nascita non ha avuto luogo in una famiglia tradizionale? Da quel momento in poi, il loro rapporto subirà una deriva e il risultato sarà la solitudine di entrambi.

Diretto da Tindaro Granata e vincitore di quattro premi teatrali nazionali, Geppetto e Geppetto vede protagonisti Angelo Di Genio, lo stesso Granata, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea e Roberta Rosignoli.

 

Quattro domande ad Angelo Di Genio

“Perché è difficile essere figli di gay ma lo è anche essere padri di figli normali?”

E’ un modo per accomunare tutte le sfaccettature che ci sono in mezzo. Con il pretesto della famiglia omogenitoriale, “Geppetto e Geppetto” tende a raccontare il rapporto odierno tra genitori e figli all’interno di famiglie di ogni genere. Affrontiamo lo spettacolo con una dinamica che può appartenere anche a una famiglia tradizionale o a una con due genitori divorziati o in cui è rimasto un solo genitore. Abbiamo notato che le dinamiche sono prevalentemente le stesse. Il tentativo è quello di andare a scandagliare il rapporto tra genitori e figli a prescindere dalla sessualità.

Il pubblico arriva con la curiosità di voler sentire e vedere da vicino come si sviluppa la relazione tra due genitori omosessuali che vogliono avere un figlio o quella di un ragazzo che vuole affrontare la propria vita avendo due genitori dello stesso sesso. Andando avanti col testo, ci si accorge sempre di più della bravura drammaturgica di Tindaro che allarga e universalizza i rapporti. La gente esce dimenticandosi dell’esistenza di una famiglia di questo genere, ma con la sensazione che si parli di rapporti tra genitori e figli.

“Riguardo a un tema come questo, il teatro ha una marcia in più rispetto alla stampa nell’informare la gente e nel far nascere opinioni al riguardo?”

Non ho visto tanti spettacoli che cercano di portare delle domande al pubblico, però il teatro ha la grandissima forza dell’emozione condivisa. Di conseguenza riuscire a creare questo legame tra palco e pubblico rispetto a determinati temi e all’emozione che certi argomenti presentano è importante perché c’è di tutto: dalla provocazione all’empatia. Il fatto che il teatro sia portatore di una comunicazione di questo tipo aiuta di sicuro e ha un valore molto più grande di quello di un articolo di giornale con dati statistici, scientifici o biologici. Credo che innanzitutto ci sia la possibilità di trasmettere emozioni che fanno riflettere con la pancia prima che con la testa.

 

 

“Questo spettacolo può riuscire ad abbattere pregiudizi che all’alba del 2018 dovrebbero essere già stati seppelliti da tempo?”

E’ quello che ci auguriamo. Secondo me sì. Vedere uno spettacolo che parla di omogenitorialità ti fa capire che è un modo per “naturalizzare” o mettere in evidenza una situazione di cui tantissima gente sente parlare solo nei talk show di Barbara D’Urso o negli articoli di giornale, che presentano discorsi sempre e solo filtrati dall’ideologia di chi passa quel messaggio. Questo spettacolo può permettere a chi non ha mai affrontato il tema con nessuno di cercare di capire la sua storia personale, di riuscire a immagazzinare quei messaggi che vengono dati nello spettacolo. Soprattutto questa è un’opera che riesce a dialogare. Abbiamo fatto degli incontri con il pubblico che si sono rivelati molto vivaci, con persone piene di dubbi, che pensano tante cose ma dialogano tra di loro.

Non parlano solo con noi che facciamo lo spettacolo, ma si pongono domande. Molto spesso le Famiglie Arcobaleno, l’Agedo (Associazione Genitori di Figli Omosessuali, n.d.r.) partecipano non solo agli incontri ma anche agli spettacoli. Di conseguenza c’è anche la volonta da parte del pubblico di fare domande avendo queste persone davanti ai propri occhi e quindi di porre interrogativi che rispondono a curiosità che non riuscirebbero ad avere se non con la compresenza delle persone. Il teatro permette di avere un contatto diretto. Vedo molta vivacità nei confronti del tema, quindi credo che questo possa aiutare a far diventare motivo di discussione questa modalità di diventare genitori e a farla “naturalizzare” poco a poco.

“Lo spettacolo ci presenta un Paese pronto ad accettare una realtà come quella delle famiglie omogenitoriali?”

Lo spettacolo ci presenta due situazioni: prima quella di un’Italia attuale con la legge Cirinnà che ha approvato le unioni civilima che non ha ancora accettato il passaggio della stepchild adoption. Poi la seconda parte dello spettacolo fa un percorso molto intelligente: immagina cosa succederà tra 25 anni. Di conseguenza cerca di disegnare un Paese in cui ci si prospetta alcune integrazioni di questa legge, in cui l’aspettativa è quella di riconoscere dei diritti alle famiglie omogenitoriali e ai loro ragazzi, lasciando però aperti i dubbi e le preoccupazioni di chi invece adesso ha subito una mancanza di diritto. Con molta intelligenza ci presenta una possibilità e Tindaro non dà un opinione morale, perché non c’è una morale in questo spettacolo. Si cerca di fare delle domande al pubblico proprio per vedere se gli spettatori sono pronti ad affrontare questi temi e questi dubbi. La lettura di Tindaro è quella del punto di vista dell’amore che per tanti è banale. L’amore però risolve tutto e se ci credessimo un po’ di più, forse molte cose andrebbero a posto.