Debutta martedì 21 settembre al Teatro i di Milano, dove rimarrà in scena fino a venerdì 23, Giro di vite, adattato e diretto da Valter Malosti con Irene Ivaldi. Si tratta del primo spettacolo di Città Balena, il teatro che fagocita la città, primo appuntamento della stagione di Teatro i.
Nel 1898, Henry James dava alle stampe questo racconto, una costruzione meravigliosamente ambigua, forse la sua novella più famosa presso il grande pubblico, anche per una bella versione cinematografica, firmata nel 1961 da Jack Clayton. Fiumi di inchiostro, letterari e psicanalitici, sono stati usati per leggere nelle maniere più diverse il mistero dei fantasmi, irreali e realissimi, che ossessionano i due piccoli Miles e Flora, e la loro istitutrice.
Giro di vite è infatti un racconto di fantasmi. Forse il più celebre racconto moderno di fantasmi. Un puro, grandissimo esercizio nel suo genere. Il climax che conduce al tragico gioco finale (che vede protagonista il piccolo Miles) continua a produrre una suspense e un’emozione che neanche un secolo di “misteri letterari” è riuscito ad appannare.
Teatro.Online ha incontrato e intervistato Irene Ivaldi, protagonista dello spettacolo.
“In che senso questo è un racconto di fantasmi?”
“La nascita del racconto è legata all’apparizione di supposti fantasmi. Era un periodo in cui lo spiritismo prendeva piede in Inghilterra, in Francia e anche in certi posti dell’America. L’arcivescovo di Canterbury, che era un amico di Henry James, durante un tè pomeridiano, racconto allo scrittore la storia di una donna che era andata a fare l’istitutrice in una casa. Lì aveva incontrato delle presenze che avevano corrotto i bambini che abitavano in quella casa. Allo stesso tempo si cercava di stabilire dei limiti all’esoterismo, ma tutto andava bene. Anche in Italia c’era una famosa medium. Si chiamava Eusebia Palladino e avevano scoperto che imbrogliava. Nonostante questo, quelli che partecipavano alle sue sedute glielo permettevano e quindi era concesso. Era evidentemente un momento in cui si aveva bisogno di credere a cose che la religione ufficiale non poteva spiegare”.
“E’ l’esoterismo il vero protagonista dello spettacolo?”
“Assolutamente no. Lo spettacolo è fedele al racconto di James. Ci sono solo io in scena con delle musiche e una voce che racconta brevemente gli antefatti della storia. Poi c’è un personaggio che anche nel testo di James racconta la storia dal suo punto di vista con tutte le contraddizioni che possono emergere. Inizialmente ci si chiede se lei sia un’assassina o una pedofila o un essere crudele che racconta la storia della sua permanenza nella casa dove i bambini secondo lei erano posseduti da fantasmi di istitutori morti che li avevano corrotti. All’inizio lo spettatore pensa che la protagonista sia una paranoica e l’ho pensato anch’io durante le prove. Poi, in realtà, il romanzo non lascia spazio a giudizi morali, si va verso la tragedia finale lasciandosi trasportare. Lo spettacolo è un racconto fatto da me che sono ferma su una sedia e faccio tutti i personaggi, anche i bambini”.
“Perché è così importante che la storia sia narrata da qualcuno che la vive dall’interno?”
“Bisognerebbe chiederlo a James. Nel 1890 l’autore aveva iniziato a interessarsi al teatro, quindi è necessario che l’io narrante possa essere interpretato. Questo è utile perché impedisce allo spettatore di dare dei giudizi morali”
“In che modo il pubblico viene coinvolto?”
“La storia è orrorifica, estremamente nervosa, con dei grandi punti interrogativi. Il pubblico viene coinvolto perché lo spettacolo è congegnato in modo da far risaltare il racconto. Finora è andato tutto bene, gli spettatori si sono anche un po’ spaventati!”
Andrea Simone