“IL GIURAMENTO”: L’EROISMO DI MARIO CARRARA

Nel 1931 il regime fascista si macchiò di uno dei suoi tanti crimini, ma in quell’occasione lo fece nelle università italiane: uccise 12 persone, che divennero eroi per caso di un’Italia civile cui era rimasto solo il diritto al rifiuto come estrema risorsa di dignità. Il giuramento, scritto da Claudio Fava e diretto da Ninni Bruschetta, in scena al Teatro Menotti di Milano fino al 25 febbraio, racconta la storia di una delle vittime, che diventa così portavoce dei pensieri, delle parole e dei gesti di tutti. Mario Carrara esercitava la professione di medico legale in un’epoca in cui i testi di Cesare Lombroso facevano scuola, riducendo gli esseri umani a semplici parti anatomiche e caratteristiche umane: fronte, ossa, sguardo, fiato pelle… Un vedovo solitario, ironico e acidito al tempo stesso, accudito da una domestica che lo assiste, lo scuote e lo prende in giro.

Protagonisti dello spettacolo sono David CocoStefania Ugomari Di BlasAntonio AlvearioSimone LuglioLiborio NataliPietro CasanoFederico FiorenzaLuca Iacono e Alessandro Romano.

La parola a Ninni Bruschetta

“Cosa accadde veramente quel tragico 13 novembre 1931?”

“In quel momento il regime fascista aveva la necessità di ottenere una solidarietà totale. Non voleva che niente e nessuno mettesse in discussione le sue idee. Il ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile, un grande filosofo poi rivalutato nel tempo, chiese ai professori univeristari il giuramento al regime fascista. I docenti accademici in quel periodo erano i depositari della cultura in Italia. Gentile, sapendo di essere un personaggio molto influente nel mondo accademico, era consapevole che il giuramento avrebbe avuto un grosso impatto sulla cultura studentesca e quindi sulla popolazione che stava crescendo”.

“Quanto era grande la paura nell’Italia di quegli anni?”

“Secondo me non lo era, almeno stando ai racconti che mi ha fatto mio nonno, un ufficiale di Marina, comandante della base militare di Augusta, in Sicilia. C’era il timore dei delatori, che è lo stesso di oggi, perché quando i servi sono più cattivi dei padroni e delle loro ideologie diventano una spia di quello che succede. Mio nonno non aderì mai al fascismo come fecero quasi tutti i suoi colleghi, ma esattamente come Carrara, parlò con il Duce prima della Seconda Guerra Mondiale per riferire che l’Italia non era pronta a entrare in un conflitto bellico. Il nostro Paese non aveva né i soldi né le armi né l’organizzazione adatta. L’aspetto curioso è che quell’incontro colpì positivamente mio nonno, perché Mussolini gli rispose che lo sapeva perfettamente ma che era un problema politico. La paura era poca anche perché la maggioranza degli italiani inneggiava al fascismo in modo folle. Inoltre, come spesso avviene all’interno di un regime, c’era una parte di gente malata e stupida che cavalcava la tigre della violenza, perché la violenza fa gola ai tutti. 

“Perché il disagio di Mario Carrara è più estetico che ideologico?”

“Nel nostro spettacolo lo è grazie a una scelta – secondo me molto giusta – di Claudio Fava, contestata anche da qualche filologo della materia. Ogni volta che si tratta un argomento storico i parenti si arrabbiano perché non capiscono il lavoro che viene fatto a monte. Una volta, però, il figlio del maresciallo Oreste Leonardi, capo della scorta di Aldo Moro, mi abbracciò ringraziandomi per come avevo interpretato il ruolo di suo padre. Lo ha fatto perché è una persona intelligente, come del resto lo era quell’eroe di suo padre. Tante volte, però, molti protestano perché il tema non viene trattato fedelmente. Noi però facciamo un teatro che piace al pubblico proprio perché non seguiamo i dettami dei parenti delle vittime e dei critici. Critici che io peraltro ho sempre rispettato nel corso della mia carriera. Però quando ignorano la presenza degli spettatori mi deludono profondamente, perché non si rendono conto che esiste una partecipazione totale al rito del teatro: i cambi di ritmo consentono al pubblico di seguire il racconto, di coglierne l’idea centrale attraverso una serie di espedienti scenici e narrativi. Quindi non si può essere sempre fedeli alla realtà. 

Mi ha molto divertito il nipote del professor Carrara, una persona molto carina, che mi ha fatto notare il grado di parentela che suo nonno aveva con Cesare Lombroso: aveva infatti sposato la figlia Paola. Ci disse che potevamo inscenare un dialogo tra loro due. Io scherzando gli ho risposto che avremmo dovuto fornire al pubblico un martello per colpirsi, perché sentire il professor Carrara che parla con la  figlia del professor Lombroso della problematica del fascismo in Italia, potrebbe essere la cosa più noiosa del mondo. Chiaramente bisogna essere capaci di stimolare certi sentimenti degli spettatori”

“La morte è stato il prezzo che Mario Carrara ha dovuto pagare per aver voluto imprimere una svolta alla propria esistenza?”

“Qui bisogna fare un discorso che fa spesso Claudio Fava e che io condivido pienamente. Lui è ancora più diretto di me perché suo padre è stato assassinato dalla mafia. Fava afferma spietatamente che quelli come Carrara non sono eroi, ma persone che hanno fatto delle scelte e che noi in seguito abbiamo laicamente santificato. Io sono in parte d’accordo: li ritengo eroi che hanno preso una decisione senza pensare alle conseguenze. Non sono in disaccordo con filosofi come Benedetto Croce, Luigi Einaudi e Piero Calamandrei che decisero di giurare, però ho sempre creduto che si potesse combattere il sistema dall’interno. Ma ho anche rispetto di chi eroicamente paga in prima persona. Il sistema stritola e ignora chi fa la scelta eroica, perché è un sistema freddo e inesorabile, come dice il nostro testo. La scelta individuale è l’unica chance, sia se ci si colloca all’interno sia se si decide di rimanere fuori, perché ci si assumono le propre responsabilità. Questi eroi pagarono con la vita, come avvenne in modo diverso – anche con la lotta armata – per molti che fecero parte della Resistenza e del fascismo. Rimane qualcosa di veramente importante che diventa il fondamento di una società. L’intento di questo spettacolo è restituire e tenere viva la memoria, soprattutto ai ragazzi, perché il primo scopo del regime, della violenza, della mafia e delle istituzioni è quello di cancellarla.

(intervista e riprese video di Andrea Simone)