“GOLI OTOK”: INTERVISTA A RENATO SARTI ED ELIO DE CAPITANI

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Debutta martedì 22 novembre al Teatro della Cooperativa di Milano “Goli Otok – L’isola della libertà”, una produzione del Teatro Elfo Puccini. Nato da un progetto fortemente voluto da Renato Sarti ed Elio De Capitani, lo spettacolo è diretto da entrambi i registi che ne sono anche protagonisti in scena.

goli-otok-2E’ la storia di Aldo Juretich, scomparso nel 2011 e nato a Fiume negli anni Venti. Renato Sarti ha potuto raccogliere dalla sua stessa voce la terribile esperienza vissuta dopo la Seconda Guerra Mondiale a Goli Otok, il peggiore dei campi di internamento di Tito. E’ un’isola del Mare Adriatico in cui furono richiusi i traditori rimasti fedeli a Stalin. Nell’inferno di Goli Otok finì una parte importante della gloriosa ed eroica resistenza jugoslava. Erano semplici resistenti ma anche eroi di Spagna, comandanti partigiani, membri di primo piano del Partito Comunista Jugoslavo, scrittori, poeti, artisti e persino ex agenti dell’Udba, la spietata polizia segreta che denunciava, arrestava e massacrava gli avversari di Tito.

Teatro.Online ha intervistato Renato Sarti ed Elio De Capitani.

Perché erano così diverse le tipologie di prigionieri che finivano a Goli Otok?”

Renato Sarti: “Perché andavano a pescare in tutte le varie gamme di personaggi che facevano parte della corrente del Partito Comunista Jugoslavo filo-stalinista. C’erano soldati, partigiani, agenti segreti, resistenti di professione, critici, giornalisti, uomini di teatro, di cinema, intellettuali, poeti. C’era di tutto. Almeno tutti quelli sospettati di filo-stalinismo”.

Il titolo, L’isola della libertà, è volutamente sarcastico?”

Elio De Capitani: “E’ dovuto a un cartello visto da Aldo Juretich quando è tornato a Goli Otok. Sopra c’era scritto Benvenuti a Goli Otok, l’isola della completa libertà. Volevano farne un paradiso per naturisti e nudisti. Con una battuta molto spiritosa, nello spettacolo Aldo Juretich dice: ‘Noi avevamo lanciato la moda perché quando siamo sbarcati dal ponte ci hanno spogliati completamente nudi. Il 13 novembre 1949 ci hanno buttati in acqua nel mare gelato dell’Adriatico”. Quindi parliamo di una moda un po’ crudele”.

Spieghiamo che cos’era il sistema del ravvedimento, che era quello su cui si basava il funzionamento di Goli Otok?”

Renato Sarti: “Come ce lo descrive Aldo Juretich è apparentemente semplice. Faccio un esempio: chiedevano di dimostrare che una persona non fosse più stalinista o comunista chiedendogli di picchiare il fratello ritenuto a sua volta comunista o stalinista. Il meccanismo era proprio questo. Bisognava dimostrare di non essere comunisti o stalinisti procedendo con le loro metodologie molto violente. Quindi venivano malmenati i compagni stessi. Appena i prigionieri arrivavano sull’isola trovavano un serpentone umano lungo più di un km. A destra e a sinistra c’era una doppia fila di persone. Si passava in mezzo e si veniva bastonati.

E’ facilmente comprensibile lo shock che provavano quando vedevano bastonato un compagno, un amico, un fratello o un familiare. Ad alcune donne veniva imposto di divorziare da un marito ritenuto stalinista. Poi venivano messe a fare i lavori più umili. Ci sono stati casi di alcuni bambini espulsi dalle elementari per indegnità politica”.

Interviene Elio De Capitani: “Giacomo Scotti ci ha spiegato che il meccanismo di Goli Otok aveva un fondamento ideologico nell’unica cosa positiva della Jugoslavia. Il Paese aveva creato attraverso Tito un’idea di comunismo radicata. In essa era diffusa l’autogestione della fabbriche e delle scuole. Quest’idea ci dà l’impressione di un comunismo dal volto umano dove c’erano una forte autonomia e una forte autorganizzazione operaia e intellettuale. L’hanno anche applicata a un campo di segregazione dove c’era l’autogestione del terrore. Erano gli stessi internati che gestivano il processo di persecuzione degli altri internati per ottenere una specie di punteggio. Questo li portava a essere tanto efferati con i loro compagni da venire rilasciati.

E’ un meccanismo che con la stessa parola ‘autogestione’ produce il dato più positivo all’interno della società di allora. Però, per una perversione di quello stesso principio, fa completamente autogestire il campo e le torture dai prigionieri stessi. E’ questa la cosa che fa soffrire di più. Alla fine era chiaro che l’unico modo per uscire era pentirsi e addossarsi un fardello di colpe. L’obiettivo era addossarne il meno possibile agli altri per non metterli nei guai. L’alternativa era non uscire”.

Perché questa pagina di storia così atroce è così poco conosciuta? In fondo dovrebbe far scalpore anche solo per il numero di vittime che causò”.

Elio De Capitani: “Dobbiamo pensare che in quel periodo compreso tra la Rivoluzione russa e il dopoguerra sono accaduti tantissimi episodi simili a quello di Goli Otok. Non tutti li conoscono. Questa storia ha lo svantaggio di essersi svolta completamente all’interno del mondo comunista. Quindi non c’era solidarietà nei confronti dei comunisti vittime perché era una cosa interna. Era come lavare i panni sporchi in famiglia. Inoltre è molto difficile sostenere il discorso storico. Aldo Juretich dice una cosa terribile: ‘Forse la nostra vittoria è stata quando ci hanno arrestato. Immaginate che cosa sarebbe successo se nel 1948 avesse vinto lo Stalinismo e Stalin con i carri armati avesse invaso la Jugoslavia. Noi non eravamo consapevoli dei fatti, non c’era informazione né giornali’.

Quindi il suo giudizio storico è di violenta critica contro quello che è stato fatto. Lui non perdona Tito, non gli fa sconti. Allo stesso tempo però riconosce anche una situazione storica e internazionale in cui tanti comunisti e tante sue vittime hanno voluto nascondere i crimini di Tito perché non avevano alternative. Ora abbiamo la necessità di non avere più questa reticenza, di essere sempre molto chiari su tutte le cose che accadono. Quindi c’è anche il bisogno di raccogliere una testimonianza specifica come quella di Aldo Juretich, perché è lucida e importante.

E’ una persona che non ha cambiato idea a causa di quello che gli hanno fatto. E’ rimasto coerente fino alla fine. Lui credeva nella pace, nell’eguaglianza, nella fratellanza fra i popoli e nella giustizia sociale. Però era anche cosciente che era troppo tardi per emendare il comunismo dallo Stalinismo, dal Titoismo, dal carrierismo, dalla burocrazia, dal nazionalismo e anche dal capitalismo. Ha visto sgretolare le proprie idee nella pratica dei vari socialismi reali. Siamo in un altro millennio, però abbiamo visto che i guasti di una società diventata sempre più ingiusta come quella capitalista non sono finiti quando è finito il comunismo e quando sono crollati i regimi. Sono rimasti endemici delle società. Neanche quelle contemporanee hanno fatto meno danni delle altre.

La Storia è un posto dove si deve andare a viaggiare ormai disincantati. Però bisogna farlo raccontando storie individuali, perché tutto questo dolore, se non viene raccontato, non ha avuto senso. Aldo è stato capace di raccontarlo come avrebbe fatto un umanista. Citando cioè Dante, Ugo Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis, William Shakespeare, Cyrano de Bergerac. E’ un uomo che è stato salvato dal proprio Umanesimo, oltre che dalla sua umanità. Quindi c’è in lui una misura di luce secondo la quale essere uomini a tutto tondo non significa avere solo ideologie e convinzioni politiche. Vuol dire anche avere qualcosa che appartiene a tutti come la cultura umanista di cui oggi purtroppo si ha poca considerazione”.