“LA GRANDE ABBUFFATA” DI MICHELE SINISI

Quattro amici si rinchiudono in una villa. Hanno un intento che farebbe accapponare la pelle anche al più spregiudicato regista di film horror: suicidarsi. E’ soprattutto la modalità con cui intendono farlo a colpire: bere e mangiare fino alla morte. Un atto che agli occhi dello spettatore diventa potente allegoria di una società incentrata sul consumo, abituata a divorare tutto.

Le prove dello spettacolo diretto da Michele Sinisi (immagini del canale Youtube “Elsinor Teatro Fontana”)

Il Teatro Fontana di Milano inaugura la riapertura dei suoi spazi presentando in prima assoluta l’adattamento teatrale del film di Marco Ferreri La grande abbuffata. La drammaturgia inedita è firmata dal regista Michele Sinisi e da Francesco Maria Asselta. Ne sono protagonisti Stefano Braschi, Ninni Bruschetta, Gianni D’Addario, Sara Drago, Marisa Grimaldo, Stefania Medri, Donato Paternoster e Adele Tirante. Lo spettacolo è in scena fino al 13 giugno. Sono presenti scene di nudo integrale e verrà riproposto al Teatro Metastasio di Prato dal 17 al 20 giugno.

Parla Michele Sinisi

Vorrei partire dal fatto che il film di Marco Ferreri fu letteralmente fatto a pezzi dalla critica al Festival di Cannes per la sgradevolezza e volgarità pornografica delle immagini, ma venne invece acclamato, quasi osannato dal pubblico. Come spieghi questa contraddizione?

E’ molto probabile che noi esseri umani abbiamo un terreno di ascolto e percezione che in quanto animali ci fa finire per essere più avanguardistici della sapienza e della parte intellettuale del sapere. Credo che quindi il pubblico percepisca di pancia su livelli poco razionali il senso e la portata di una proposta come l’opera di Marco Ferreri “La grande abbuffata”.

Che tipo di lavoro avete fatto tu e Francesco Maria Asselta sul testo?

Chiaramente ci siamo fatti guidare dalla stella polare del fatto che gli attori sul piano fisiologico non potevano realmente abbuffarsi in scena perché sarebbero morti prima del debutto. Dopo l’esperienza della pandemia, resta il fatto che abbiamo deciso di declinare tutto il senso dell’abbuffata su un piano audiovisivo. La bulimia che oggi come oggi ci schiaccia è proprio legata al fatto che siamo totalmente circondati dalla possibilità di sapere e approfondire. C’è una memoria del sapere strabordante in molte persone, con una possibilità quindi del “like” continuo, di poter esprimere le nostre opinioni e di dire la nostra su qualunque cosa ci circondi in un mondo globale dal punto di vista politico, economico e culturale. Scoppia il cervello nella nostra grande abbuffata.

Quali sono gli aspetti più importanti da sottolineare in questo rapporto così autodistruttivo tra cibo e corpo, che forse sono i due veri protagonisti dello spettacolo?

Il sesso e il cibo – quindi la parte fisiologica di noi – che tra l’altro si racchiudono entrambi nel basso ventre, sono presenti nello spettacolo. L’aspetto carnale del vivere, che fino al momento immediatamente successivo agli anni Cinquanta e al boom economico di cui parla Ferreri, è stato totalmente montato da noi con la virtualità e il sistema dei mass media. Quindi non sappiamo mai che tipo di percorso, distribuzione e raccolta ha fatto il cibo che noi mangiamo. C’è dunque una zona franca tra noi e l’oggetto inteso come atto sessuale e del mangiare. Per cui c’è quella nube di ignoto che crea le nostre ansie e il nostro dramma.

Perché i personaggi che abitano la scena entrano ed escono dalla parte in continuazione e perché nelle note di regia hai tenuto a precisare che “La Grande Abbuffata” è un racconto umano nel senso più artistico e concreto?

Perché è quello a cui assistiamo nel film. Ci sono quattro amici con gli stessi nomi degli interpreti che si ritrovano a mangiare. Quindi l’aspetto umano del film è già fortemente presente e condiziona pesantemente il solco di quella narrazione. Noi abbiamo semplicemente “rubato” questa condizione di partenza. Ninni Bruschetta, Stefano Braschi, Gianni D’Addario e Donato Paternoster si ritrovano coi loro stessi nomi a condividere l’ideale ipotesi di ritornare “qua”, così come dicono loro nel film. Perché noi ci vediamo “qui”, in teatro, dopo quest’anno e mezzo? Quello a cui assistiamo è proprio quello che è accaduto in questo anno e mezzo: l’abbuffata audiovisiva, la bulimia, un colesterolo audiovisivo vero e proprio.

  • Foto di Luca Del Pia
  • Si ringrazia Martina Parenti per la collaborazione