Il Piccolo Teatro Grassi propone fino al 15 ottobre Le serve di Jean Genet. Tradotto da Gioia Costa e diretto da Giovanni Anfuso, vede protagoniste Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia e Vanessa Gravina. Scritto nel 1947 e ispirato a un evento di cronaca che impressionò enormemente l’opinione pubblica francese, questo testo è considerato uno dei capolavori di Jean Genet, una perfetta macchina teatrale in cui il gioco del teatro nel teatro è svelato per mettere a nudo, in modo straordinario, la menzogna della scena con una struttura che scava nel profondo.
Un rapporto malato
E’ la storia di due sorelle (Claire e Solange, interpretate rispettivamente da Anna Bonaiuto e Manuela Mandracchia), due serve dall’aspetto inquietante, che nei confronti della loro padrona, la bella ed elegante Madame (Vanessa Gravina), vivono un rapporto d’amore e odio. Ogni sera mettono in atto un ossessivo teatrino in cui a turno giocano “a fare Madame”, indossandone gli abiti.
La parola a Vanessa Gravina
“Quanto è perverso e malato il rapporto che queste due serve hanno con la loro padrona?”
E’ un rapporto assolutamente inquietante, morboso e malato. Ed è un rapporto di amore e odio, dove la morte come argomento è sempre presente, non solo dal punto di vista immaginario ma anche da quello concreto. Si cercherà durante tutto il racconto di questa vicenda di uccidere Madame, ma questa uccisione ovviamente non avverrà.
“E’ molto importante sottolineare la psicologia e il carattere del tuo personaggio. Ne vogliamo parlare?”
Non è solo il rapporto che le serve hanno nei confronti di Madame a essere morboso, ma anche quello che Madame ha nei confronti delle sue serve. Quando penso a Madame, mi viene sempre in mente un gatto che gioca col topo. Madame è un personaggio estremamente capace di manipolare. In qualche modo rappresenta tanti ideali come fascino e bellezza, ma sa anche rappresentarsi. Il meccanismo autoritario che Madame instaura con queste donne rientra in un rapporto a volte condito da una gentilezza apparente, da un’indifferenza, da un gioco paradossale.
E’ qualcosa di veramente geniale dal punto di vista drammaturgico. E’ un personaggio che deve “distruggere” tutto quello che avviene intorno per poi portare all’epilogo e al finale che ovviamente conosciamo, che è un finale estremamente drammatico e tragico. Io mi diverto molto a interpretare questo personaggio, perché c’è una parte involontariamente comica, paradossale, grottesca ed esilarante veramente bella da interpretare.
Riguardo a Madame, quello che potrei aggiungere è che se Claire e Solange, le due serve, sono ovviamente due schizofreniche che vivono quest’apparenza e questa finzione che poi diventa realtà, il personaggio di Madame è anche quello di una donna estremamente nevrotica, per cui sono tre “border line”, come le definirebbero oggi.
“Perché il regista Giovanni Anfuso ha definito questo spettacolo ‘una favola nera’?”
Perché chiaramente “Le serve” è un testo estremamente irreale. E’ dichiaratamente un gioco di teatro nel teatro. Per cui tutto quello che queste donne vivono potrebbe essere un’illusione della mente. La stessa Madame è probabilmente una proiezione della loro mente. Credo che la favola sia qualcosa di eterno e fuori dal tempo. Quindi le vicende di queste donne sono vicende che, se vogliamo, non hanno né un passato né un presente né tantomeno un futuro, proprio perché sono universali. Sono storie di alienazione, di alterazione, di ossessione, ma rappresentano anche la vita di tutti i giorni.
“Le serve” comprende, riassume e abbraccia tutti questi sentimenti che in realtà poi albergano quotidianamente nell’animo umano, in ciascuno di noi: la competizione, la rivalsa, la frustrazione, l’invidia, il dolore, l’impotenza, l’impossibilità di essere altro da ciò che si è. Quindi credo che una favola sia proprio questo: una favola, nel bene o nel male, racchiude una condizione universale.
“E’ giusto dire che in questo spettacolo vengono messi in risalto tutti i lati più negativi del genere umano?”
Sì, ma anche quelli grotteschi e le fragilità. Non viene tirato fuori solo il “nero” . Vengono ovviamente rappresentati rapporti esasperati, perchè chiaramente Genet racconta questo. Però anche semplicemente rapporti. Per questo credo che ognuno di noi possa ritrovare qualcosa. Il pubblico che viene a vedere lo spettacolo alla fine mi dice: “Ma sai che a un certo punto quando Madame dice quella frase, io avrei detto veramente la stessa cosa? Anch’io provo le stesse pulsioni di impotenza, di invidia e subisco il potere di qualcuno. Oppure metto in atto una mia autorità ai danni di qualcun altro”. Queste cose mi sono state dette spesso. Quindi significa che questi sentimenti sono anche, se vogliamo, in gran parte universali.
(intervista e riprese video realizzate da Andrea Simone)