“MINCHIA SIGNOR TENENTE”, DAL DOLORE NASCE LA COMICITÀ

Nella Sicilia del 1992, in un piccolo paesino dell’isola che in quell’anno vide le stragi di Capaci e Via D’Amelio, c’è una caserma dei carabinieri, posta sul cucuzzolo di una montagna. I nostri militari affrontano la quotidianità del villaggio, dove la cosa che preoccupa di più la gente è il ladro di galline: una volpe! Tra prese in giro e paradossi, un matto che denuncia continuamente cose impossibili e situazioni personali (uno dei militari è fidanzato con una ragazza del posto, e la legge lo vieta!), i ragazzi si sentono parte di un’unica famiglia. L’arrivo di un tenente destabilizzerà l’unione dei 5 carabinieri. Cinque soldati, un tenente e la mafia che li circonda… questa potrebbe sembrare la classica storia del cattivo e dei buoni in cui il bene vince sempre… invece no…

Dopo il successo al Teatro Martinitt di Milano nel 2015, torna dal 20 al 25 marzo nel capoluogo lombardo, al Teatro San Babila Minchia signor tenente, uno spettacolo scritto da Antonio Grosso, che ne è anche protagonista in scena con Gaspare Di Stefano, Alessandra Falanga, Francesco Nannarelli, Antonello Pascale, Francesco Stella, Ariele Vincenti e Natale Russo. La regia è firmata da Nicola Pistoia. Teatro.Online ha intervistato al telefono l’autore e protagonista Antonio Grosso.

La parola ad Antonio Grosso

“Lo spettacolo è ambientato il 20 maggio 1992, tre giorni prima della strage di Capaci. Cos’è cambiato in Sicilia in 26 anni?”

Sono cambiate tante cose, ma soprattutto la mentalità delle persone. Molti capiscono ormai che l’omertà e la paura non esistono più e si sono ribellati al Dio pizzo. Sono nate tante associazioni che combattono il modus operandi mafioso esistente in Sicilia ma non solo. La cosa bella è che non è più diffuso quel terrore che c’era prima.

“Anche se in realtà la mafia non è stata debellata e Matteo Messina Denaro non è stato ancora catturato? Cosa Nostra non si è certo estinta con le catture e le morti di Bernardo Provenzano e Totò Riina.”

E’ come i batteri che si riproducono sempre. Ne ammazzi uno e se ne genera un altro. Non morirà mai, però la mafia prima era molto forte perché molto popolare. I mafiosi si sono ambientati in altri contesti più sofisticati. Hanno perso da una parte e guadagnato dall’altra.

Dove?

“I soldi vengono ripuliti più facilmente e in questo caso ci hanno guadagnato. Ormai i figli dei mafiosi o quelli che lo diventano non sono più i pecorari, ma gente laureata alla Bocconi, alla Luiss o in Inghilterra. Insieme alla ‘ndrangheta hanno comprato mezzo Regno Unito e mezza Germania. Tutto questo è nato da Provenzano, la persona che ha iniziato a far guadagnare la mafia in questo modo e adesso Messina Denaro sta continuando su questa strada. Hanno invece perso il consenso popolare.

“E’ giusto dire che qui la risata e il dolore nascono da un fatto tragico?”

Sì, ma è giusto che tutta la comicità nasca dal dolore in generale. La comicità non potrebbe esistere senza la sofferenza e il dramma. Non sarebbe comicità.

“Avete voluto fare un omaggio all’Arma?”

Sì, ma soprattutto a tutti quegli eroi minori che dagli anni Sessanta a oggi muoiono per un milione di lire al mese, come diceva la canzone di Giorgio Faletti. 

“Ti stai riferendo alle forze dell’ordine?”

“Sì, ai militari e alla polizia, che ricevono un guadagno in proporzione molto minore rispetto agli enormi rischi che corrono.

“Quant’è importante nell’equilibrio della commedia il ruolo del simpatico brigadiere che interpreti?”

Lo è come tutti gli altri. Non c’è un protagonista e il bello è proprio questo. E’ una catena di ruoli incastrati tra di loro. Se uno di quei ruoli esce appena appena dall’ingranaggio, si rompe tutto. Il brigadiere è fondamentale come il maresciallo e tutti gli altri personaggi della commedia. “Minchia signor tenente” è una macchina da guerra della comicità e della riflessione. Ho fatto talmente tante sostituzioni che ormai potrei sostituirmi pure io e lo spettacolo funzionerebbe sempre.