Paolo Hendel, “La giovinezza è sopravvalutata”

“Tutto è iniziato il giorno in cui ho accompagnato mia madre novantenne dalla nuova geriatra. In sala d’attesa la mamma si fa portare in bagno dalla badante. Un attimo dopo la geriatra apre la porta del suo studio, mi vede e mi fa: ‘Prego, sta a lei…’.”

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Grazie a quell’incontro, Paolo Hendel si rende conto che si sta “pericolosamente” avvicinando alla stagione della terza età e che è venuto il momento di fare i conti con quella che Giacomo Leopardi definisce “la detestata soglia di vecchiezza”.

La giovinezza è sopravvalutata, scritto da Paolo Hendel e Marco Vicari, è in scena al Teatro Delfino di Milano dal 24 al 27 febbraio. Diretto da Gioele Dix, il monologo vede come unico protagonista Paolo Hendel.

Quattro domande a Paolo Hendel

Cosa significa avvicinarsi alla stagione della terza età?

Vuol dire rimanere sorpresi, perché ridendo e scherzando, non ce ne accorgiamo ma gli anni passano. Allora, a un certo punto, si parte magari da un fatto abbastanza poco significativo e ci si rende conto che ci si sta avvicinando con una velocità impressionante alla soglia fatidica. Ci si comincia quindi a fare una serie di domande, con l’idea di ridere di noi stessi e delle paure che poi sono quelle che hanno in molti rispetto agli anni che passano e alla vecchiaia che si avvicina.

E’ una sorta di confessione autoironica la sua?

Sì. A me la parola “confessione” piace molto. Io ho iniziato proprio con questo tipo di rapporto con il pubblico, quello cioè di arrivare lì e confessarmi. Parlo di me stesso e, volta dopo volta, cerco dei punti e delle reazioni in comune con gli spettatori che ho davanti per giocarci insieme. Quindi sicuramente rido anche delle cose meno allegre. Fa bene alla salute ed esorcizza le cose negative che nella vita purtroppo non mancano.

Che cosa rappresentano le paure, le debolezze e gli errori di gioventù?

Un processo necessario. Basta che avvenga rendendosene conto. Si può e si deve sbagliare nella vita, perché non si può pretendere di indovinarla sempre. Il problema è quando sbagliamo senza accorgercene. Con l’età c’è più consapevolezza: da giovane mi capitava di fare una stupidaggine e di non rendermene conto o di farlo vent’anni dopo. Adesso faccio ancora tante sciocchezze, ma appena ne ho fatta una penso: “Porca miseria! Ho fatto una stupidaggine!” L’ideale sarebbe evitarla ed esserne consapevoli, ma bisogna essere molto bravi.

E’ una risata liberatoria l’unico modo per esorcizzare la vecchiaia intesa come una brutta età?

Sì, ma le dirò di più: se facciamo attenzione, scopriamo che la terza età è una delle stagioni della vita che vale la pena di vivere con i suoi tanti aspetti positivi. E’ anche l’età della libertà, della fantasia, della creatività, della voglia di tornare un po’ bambini e quindi del gioco. E’ dunque un’età bella della vita, senza contare – detto tra noi – che c’è un solo modo per evitare di diventare vecchi: morire prima. Francamente non mi sembra che sia una gran soluzione!

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Roberta Grillo per la collaborazione
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