Dopo il grande successo di “Magazzino 18”, Simone Cristicchi torna al Teatro Carcano di Milano fino a giovedì 4 dicembre con “Il secondo figlio di Dio”, uno spettacolo diretto da Antonio Calenda e scritto a quattro mani dallo stesso Simone Cristicchi con Manfredi Rutelli.
Cristicchi ci racconta una storia poco conosciuta ma di grande fascino: quella di David Lazzaretti e della grande avventura di un mistico, di un visionario di fine Ottocento, capace di unire fede e comunità, religione e giustizia sociale. Un uomo che nel luglio 1878, in cima a una montagna, davanti a una folla adorante di persone, disse di essere la reincarnazione di Gesù Cristo. Fu l’inizio di una rivoluzione possibile, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia. Una vicenda incredibile ma realmente accaduta.
Teatro.Online ha intervistato Simone Cristicchi, autore e protagonista dello spettacolo.
“La prima cosa da chiedersi è quanti hanno creduto a quello che Lazzaretti raccontava”.
“Credo che solo in Italia si possa parlare di 5.000 persone, senza calcolare quelli che lo seguivano in Francia. Gli hanno creduto fin dal primo momento, soprattutto negli ambienti clericali. In seguito, quando lui si è distaccato dalla teologia cattolica, è stato scomunicato, dichiarato un eretico e bastonato da tutti. Hanno continuato a credergli dopo la sua morte. Oggi ricordiamo Davide Lazzaretti, ma tutto il contesto in cui è vissuto è pressoché sconosciuto. La sua presenza è molto forte ancora oggi nelle memorie di quel territorio”.
“Pagò un prezzo alto per le sue affermazioni?”
“Sì, in primo luogo venne abbandonato da tutti. Però continuò ad andare avanti perché era convinto di avere una misteriosa visione divina che veniva dal cielo. Non si può definirlo né pazzo né sano di mente, è una via di mezzo particolare. Soprattutto è un personaggio da cui è difficile staccarsi se ci si appassiona”.
“La sua è una storia poco conosciuta, però sono tanti gli storici e gli studiosi che si sono concentrati su questa figura. Come mai secondo te?”
“Su di lui sono uscite molte pubblicazioni, ma sono rimaste sempre nel circuito toscano e amiatino. Il suo unico libro su scala nazionale, Il Cristo dell’Amiata, è stato scritto da Arrigo Petacco. Venne pubblicato da Mondadori ed è un vero e proprio saggio su di lui. Ha divulgato un po’ di più la sua storia. Lazzaretti è conosciuto ancora oggi da un élite di studiosi e intellettuali, ma anche di religiosi. Un monaco ortodosso che vive in Kosovo mi ha detto che tra gli ortodossi, Lazzaretti è molto conosciuto, studiato e preso in considerazione. La Chiesa, invece, lo considera un cialtrone, un falso profeta e un malato di mente”.
“Un ruolo molto importante in questo spettacolo è quello della terra dove si svolge, cioè le pendici del Monte Amiata. E’ così?”
“La storia di Lazzaretti, così come io la racconto a teatro, è la parabola della vita di un uomo. Un’esistenza straordinaria, avventurosa, una sorta di romanzo. E’ tutto documentato giorno per giorno grazie ai suoi seguaci che hanno custodito un bellissimo archivio, l’Archivio di Poggio Marco, dove gli studiosi possono trovare anche tutto quello che è successo dopo la sua morte. Per raccontare la sua storia, è importante contestualizzarla. Soprattutto per il fatto che si svolge dopo l’Unità d’Italia, in un periodo di grande confusione, in cui le speranze erano state deluse. Anziché veder migliorare le proprie condizioni di vita, la gente vedeva le tasse aumentare, come quella sul macinato.
Tutto questo c’entra in parte con Lazzaretti, così come i luoghi in cui si svolge la storia. Lazzaretti, però, poteva nascere in qualsiasi epoca. Sicuramente era un uomo nuovo nato in un mondo vecchio, perché le sue idee di comunità e società e la sua visione del mondo erano avanti almeno di 100 anni rispetto ai tempi in cui viveva”.