Monica Faggiani, i figli so’ piezz’e core

Una scena vuota. Un’attrice entra vestita di tutto punto sulle note di Non sono una signora di Loredana Berté e piano piano, con ironia dissacrante e intelligente, ci racconta la storia di una femminista che vuole portare avanti le proprie battaglie senza cadere negli stereotipi e nei luoghi comuni del caso, ma ci casca lo stesso. E’ però anche una madre single alle prese con un figlio adolescente, con tutto quello che questo periodo comporta.

Monica Faggiani è autrice e protagonista dello spettacolo AAA Cercasi sostegno per madre single e femminista con figlio maschio e adolescente, in scena a Milano in un appartamento in piazza della Repubblica l’8 e il 9 giugno alle 21 e al NoloFringeFestival il 15 giugno all’Enoteca “Scintilla” alle 18.45.

Intervista a Monica Faggiani

Quanto è autobiografico il tuo spettacolo?

Parecchio, perché lo spunto nasce proprio dalle fatiche di una madre con un figlio adolescente. Quando arriva quel periodo, si scatena una rivoluzione dentro e fuori da un ragazzo con un corpo, delle emozioni e dei vissuti nuovi che deve controllare. La madre diventa quindi uno specchio che amplifica e ingrandisce ogni cosa. Il bambino alimenta la relazione di amore e di dipendenza che si instaura tra lui e la madre. Improvvisamente chiede libertà, spazio interiore ed esteriore, dentro di lui e nella sua camera che diventa off-limits. Quando arriva quel momento, le madri si trovano spiazzate anche se si sono preparate. Ho quindi deciso di usare l’ironia, che è la mia nota vincente e in questi momenti della mia vita mi viene sempre in aiuto la scrittura.

Perché inseguire l’ideale della mamma perfetta non serve a niente?

Perché nessuno è perfetto, soprattutto le mamme. Però gli diamo ugualmente la caccia perché viviamo nella società dove la performance regna sovrana e specialmente i genitori devono essere performativi. Inoltre è inutile, perché ci scontriamo con le nostre fragilità e con quelle degli altri. Quando ho capito che essere la madre più bella e spumeggiante non serviva, sono diventata una genitrice migliore.

Perché se osserviamo le tragedie della vita da un’altra prospettiva diventano comiche?

Perché proviamo il sentimento del contrario di cui parlava Pirandello: se pensiamo a quello che accade quando viviamo in prima persona una vicenda faticosa, dolorosa e drammatica, riusciamo solo a vederla in quel modo. Se invece qualcuno, nel mio caso uno psicoterapeuta, ci aiuta a ridimensionarle, ci accorgiamo che proprio quella vicenda ha un significato e che può portarci qualcosa di buono. Soprattutto ci rendiamo conto che quelle esperienze, se non sono drammi, diventano comiche. E’ come scivolare su una buccia di banana: se siamo noi a cadere, ci facciamo male; se invece capita a chi ci guarda, ci viene da ridere. Questo è un sentimento teatrale che io uso molto come meccanismo di gioco nella scrittura.

Trovo molto bello il motto dello spettacolo: “Non dimentichiamo che la libertà comincia dall’ironia”. Lo hai scelto perché l’ironia ci rende liberi?

Sì. Io credo che l’ironia e l’autoironia ci possano salvare, perché ci permettono di essere più leggeri, sereni e “semplici”: questo non significa essere poco profondi, ma costruire meno problemi sui fatti della vita. Tutto quello che ci accade, se lo guardiamo da fuori, è abbastanza comico!

  • Intervista di Andrea Simone