Pretéxtax Tach, ottuagenario premio Nobel per la letteratura, scopre di essere prossimo alla morte per una rara malattia. Dopo anni vissuti da misantropo, sempre rinchiuso nel suo appartamento e negandosi alla stampa, lo scrittore acconsente a concedere una serie di interviste. L’occasione si trasforma in un’esperienza umiliante per i malcapitati giornalisti, schiacciati dal cinismo, dal sarcasmo e dall’incontestabile superiorità intellettuale del perfido vecchietto.
Igiene dell’assassino è in scena al Teatro Leonardo di Milano l’1 e il 2 febbraio. Tratto dal romanzo di Amelie Nothomb, tradotto e adattato da Sergio Ferrentino, vede protagonisti Alessandro Ornatelli, Valeria Perdonò, Alessandro Castellucci, Roberto Recchia e Maurizio Pellegrini.
Parla Sergio Ferrentino
“Perché Prétextax Tach è così arrabbiato col mondo?”
“Si scopre alla fine. Si scatena all’interno dell’ultima parte del racconto e viene tenuto in sospeso per tutto il tempo. La mia sensazione è che più che essere arrabbiato con il mondo lo ignori. Soprattutto disprezza i suoi lettori, perché pensa che comprino i libri ma non li leggano e non li capiscano. Penso che ci sia stato qualcuno che abbia avuto questo tipo di problemi.”
“Quali sono i particolari inconfessabili che emergono dal suo passato?”
“Raccontarli adesso significherebbe svelare il punto centrale di qualunque giallo. E’ il passato che condiziona tutta la sua vita e che l’ha portato a diventare un uomo super obeso, arrogante e incostante che in 25 anni non ha mai rilasciato nessuna intervista e che ha smesso di scrivere 25 anni prima, pur continuando a pubblicare libri che aveva scritto 25 anni prima. Il vero grande problema che si trascina dietro è inconfessabile. L’unica cosa che può interessare è che all’interno di questi libri c’è già qualche cosa, in particolare un libro che è un incompiuto. Questo è l’unico messaggio che arriva prima del gran finale. Lui decide di fare cinque interviste con dei giornalisti che tratta malissimo, perché non erano all’altezza, fino all’ultima giornalista che scopre tutto quanto e che è una delle poche che ha letto tutti i suoi libri, li ha capiti e li ha analizzati.”
“Qual è il fascino dell’audiodramma a teatro?”
“Quello di non sapere mai se tenere gli occhi aperti o chiusi. E scoprire che sia se li si tiene aperti che chiusi, in qualsiasi caso si riesce a seguire tutto, cosa che non avviene in teatro. Provate a chiudere gli occhi e probabilmente vi perderete delle scene e il filo del discorso. Un altro aspetto ancora più interessante è il fatto di poter costruire un’immagine acustica. Si chiudono gli occhi, c’è una scena che accade ed è tutto comprensibile. Uno dei complimenti che mi fa sempre emozionare è quando gli spettatori escono e dicono che era come un film. E’ lì che l’immagine acustica riesce.”
“E’ diverso il dialogo in prosa di un audiodramma rispetto a quello di uno spettacolo teatrale?”
“Assolutamente sì. Pensate a una scena in cui un signore A parla con un signore B. A un certo punto entra un signore C alle spalle del signore B con un coltello che arriva e lo uccide. Quella scena visiva racconta tante cose, vuol dire che A è sicuramente alleato e sa perfettamente che C vuole uccidere. Quella parte, solo visiva, dice tantissime cose. Provate a chiudere gli occhi e non capirete nulla di quella scena. Quindi bisogna adattare. Una volta, tanti anni fa, in Italia c’era una grande scuola di adattatori. La Rai ha sempre creato degli adattatori radiofonici. Con quell’esperienza si fa perfettamente quello che si sta facendo adesso: si entra nel mondo dell’audio, si prende un testo e lo si adatta. Si tolgono tutte le parti visionarie e le si modifica per il mondo non vedente.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli per la gentile collaborazione