Gruppo di famiglia in un interno napoletano, fine anni Sessanta. Valerio, scrittore di successo ma in piena crisi creativa, vive confinato nel suo studio /biblioteca, dedito al suo lavoro e indifferente a quanto accade sotto i suoi occhi. Un inatteso, generale moto di contestazione da parte dei suoi cari viene ad interrompere la sua concentrazione: prima la moglie, che gli rinfaccia le ristrettezze economiche che la sua intransigenza da intellettuale duro e puro impone a tutti loro; quindi il figlio, che lo accusa di essere stato un padre assente; infine la figlia, che, al contrario, gli attribuisce un atteggiamento troppo protettivo che non ha favorito la sua maturazione.
Il silenzio grande di Maurizio De Giovanni arriva al Teatro Carcano di Milano, dove rimarrà in scena fino al 16 febbraio. Diretto da Alessandro Gassmann, vede protagonisti Massimiliano Gallo, Stefania Rocca, Monica Nappo, Paolo Senatore e Jacopo Sorbini.

Intervista a Monica Nappo
“Vogliamo parlare del tuo personaggio?”
“E’ un personaggio tragicomico. Non posso dire tantissimo, perché questo spettacolo, come tutti i lavori di Maurizio De Giovanni, ha una connotazione da thriller che non bisogna svelare. Però diciamo che il mio è un personaggio che sa vita, morte e miracoli di questa famiglia. Riesce a fondere saggezza e a parlare senza filtri borghesi proprio perché rispetto alla famiglia di cui si parla viene da origini popolari. Quindi ha quella saggezza popolare che a volte arriva molto più dritta al cuore delle cose.”
“Quali sono le caratteristiche principali che emergono da questo quadro familiare?”
“Malgrado sia ambientato negli anni sessanta, credo sia qualcosa che poi è ancora molto forte oggi: il fatto che a volte sia più difficile comunicare proprio con chi ci è più vicino. Infatti lo spettacolo si chiama Il silenzio grande non a caso: perché parla di tutti quei momenti di mancanza di comunicazione che poi si sommano fino a far diventare grande, quasi apparentemente insormontabile, un silenzio tra due persone o più persone che sono vicine. Io credo che sicuramente rispecchi questo. Però rispecchia anche un problema generazionale tra genitori e figli interpretati da Paola Senatore e Jacopo Sorbini, che a volte hanno difficoltà ad emergere avendo un padre così ingombrante.”
“Su quali aspetti in particolare pone l’accento questa commedia?”
“Io credo che la sua forza stia nel fatto che sicuramente ci sono delle cose in cui si possono ritrovare tutti, perché ci sono delle tematiche familiari e ognuno può scegliere un personaggio da sentire più vicino. Sicuramente c’è un cambio in cui si passa dalla risata al pianto e credo che questo sia molto salutare. Oltre ad avere questi risvolti psicologici che parlano molto di famiglia, ci sono forse momenti più appartenenti alla tradizione teatrale e che sono quelli con me e Massimiliano Gallo in cui c’è una napoletanità che però è godibile proprio perché spero e credo che non sia da cliché.”
“Quanto si ride, quanto si piange e quanto si riflette con questo spettacolo?”
“La gente dice tanto. Se devo essere sincera, mi fido più di quello che dice la gente. Ho notato che ovunque si sia andati c’è sempre lo stesso feedback, proprio perché sono tematiche molto universali. Si parla di famiglia e di solitudine, delle difficoltà che ci sono a parlare con chi si ama e di tante altre cose. Secondo me, poi, alla fine la cosa interessante di questo spettacolo – a prescindere da chi lo fa e da chi lo ha fatto — è la tematica, cioè il fatto che alla fine presenti delle domande che ci poniamo tutti.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Brunella Portoghese per la collaborazione