Può un sogno salvare la vita di un uomo? Sì, se gli suggerisce un’inaspettata e provvidenziale opportunità di riscatto, dopo un bilancio che lo ha portato alla consapevolezza di una società che ha sempre sentito estranea e dopo la sparizione di ogni stimolo vitale.
Al Teatro Out Off
Il sogno di un uomo ridicolo di Fëdor Dostoevskij è in scena al Teatro Out Off di Milano dal 7 maggio al 2 giugno. Tradotto e adattato da Fausto Malcovati e Mario Sala (unico protagonista in scena), lo spettacolo è diretto da Lorenzo Loris.
Parla Mario Sala
“Perché il protagonista dello spettacolo si sente un pesce fuor d’acqua rispetto alla società?”
“Perché è un uomo che per ragioni sconosciute è sempre stato deriso dai suoi simili senza venire mai preso sul serio. Questo lo ha portato a isolarsi poco a poco e anche ad accettare la propria condizione di uomo ridicolo. Visto che dalla società non riusceva ad ottenere altro che derisione, a un certo punto ha cominciato a cercarla e a voler essere ridicolo, perché questo era l’unico canale attraverso il quale riusciva a ottenere un contatto con gli altri. Questo è in sintesi il suo dramma.”
“Si parla della salvezza di un uomo. Siamo dunque di fronte a uno spettacolo catartico?”
“Sì. Il testo di Dostoevskij, come un po’ tutta la letteratura russa dell’Ottocento, è spesso associata a un senso di paura, di timore, di pesantezza. Questo testo è invece molto leggero. Non presenta nemmeno patronomici né situazioni un po’ complesse che possono creare difficoltà. La scrittura è semplice, lineare e offre sicuramente un valore catartico, perché alla fine, attraverso questa via che passa da un sogno, l’uomo ridicolo riuscirà a trovare una dimensione di felicità terrena.”
“Perché questo testo non può che essere un monologo?”
“Perché quello che parla è un uomo solo, isolato e ai margini del corpo sociale. E’ però un personaggio che riesce a uscire dalla dimensione onirica perché lo porta fuori dal suo dramma quotidiano. Ha un grande bisogno di contatto, di parlare, di far sapere delle verità rivelategli da questo sogno. Verità di cui non è lecito dubitare, perché il sogno gliele ha dimostrate in modo inequivocabile. Infatti lui e Dostoevskij arrivano a mettere in dubbio che si sia trattato soltanto di un sogno, per quanto particolareggiato possa sembrare. E qui mantengo volutamente un po’ di mistero.”
“Infatti. Lasciamo aperta quest’ipotesi per invogliare il pubblico a venire a vedere lo spettacolo. Da che cosa è costituita, almeno in questa pièce, l’osmosi tra letteratura e teatro?”
“Il personaggio è molto forte, preciso e caratterizzato. Quindi è un testo teatrale ma la differenza sta nei meccanismi della scrittura: un testo scritto per essere recitato è diverso nella costruzione della frase e nei tembi verbali da uno scritto per essere letto. Grazie anche alla sapiente mano del professor Malcovati, siamo riusciti a intervenire, ma solo nei dettagli. Non a caso lo spettacolo è già stato rappresentato in Italia da Gabriele Lavia e non solo. In Russia è quasi un classico teatrale. Noi abbiamo fatto qualche taglio, perché il racconto è forse un po’ prolisso in qualche punto. Lo abbiamo reso più diretto, più semplice e fruibile, ma non per questo meno profondo.
Credo che da questo punto di vista possiamo essere orgogliosi del lavoro che abbiamo fatto e dello spettacolo, perché siamo consapevoli che è un’opera di Dostoevskij godibile, che non chiede al pubblico di essere degli esperti di letteratura russa in generale. Vi garantisco che passerete una serata non troppo impegnativa, ma all’insegna di un’apertura mentale fatta di divertimento.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Roberto Traverso per il supporto professionale