“IL CUSTODE”: LA SOLITUDINE DEGLI ESCLUSI

Davis e i fratelli Mik e Aston non hanno alcun paradiso a cui aspirare, se non una squallida stanza in un caseggiato fatiscente di un quartiere suburbano della più estesa metropoli d’Europa. Un luogo dove gli oggetti, le suppellettili che adornano e rendono accogliente e calda la vita familiare borghese, sono ammassati alla rinfusa.

Il custode di Harold Pinter è in scena al Pacta Salone di Milano dal 21 novembre al 2 dicembre. La regia è di Riccardo Magherini, che ne è anche protagonista con Fabio Banfo e Antonio Rosti.

Parla Riccardo Magherini

“Perché questo è il dramma degli esclusi?”

“Questo è il dramma più importante scritto da Pinter. E’ quello che lo ha fatto diventare il Pinter che conosciamo. Senz’altro perché sentiamo fortissimo questo tema qui in Italia. Quando scrisse questo dramma nel 1956, l’Inghilterra stava vivendo la chiusura delle colonie, quindi tantissimi stranieri che avevano vissuto sotto la Corona si stavano spostando in Inghilterra. I cosiddetti inglesi bianchi, gli isolani, percepivano quello che oggi noi percepiamo con quello che succede qui in Italia. Poi c’è un amore profondo per questo testo, che è stato il primo in assoluto che io da studente della scuola del Piccolo Teatro di Milano ebbi la fortuna di conoscere. Queste sono le due ragioni principali.”

“Quanto sono forti le incomprensioni tra i protagonisti?”

“Sono profonde. E’ difficile anche riuscire a stabilire una misura. Pinter mette due personaggi che sono uniti dal punto di vista del sangue. Loro dicono di essere fratelli, ma c’è una distanza siderale fra loro: uno è pacifico, molto grosso fisicamente e ha subito un elettroshock. Allora si facevano, soprattutto in Inghilterra. L’altro è un piccolo bulletto, una specie di mafiosetto, anche se lui dice di essere un uomo d’affari. E’ molto violento. Il terzo è un inglese fallito, è quell’inglese puro che però è rimasto in mezzo ad un ponte. I neri, i greci, gli scozzesi e gli indiani sono su uno scalino sociale più alto del suo. Lui è oltre quello scalino sociale. Quindi la distanza che ci può essere tra i tre è enorme. E’ quasi incomprensibile, quasi incalcolabile.”

“Quali sono gli aspetti cui avete voluto dare enfasi?”

“Il primo aspetto più importante è quello del gioco. Pinter ci fa vedere una sorta di piccola partita. E’ una strana partita a tre, dove sembra che ci siano due giocatori che giocano e un oggetto giocato che è questo barbone. A metà del percorso ci si accorge che invece anche il terzo gioca a un gioco molto misterioso di cui non si capisce lo scopo. Però il gioco è molto importante, perché entrambi i fratelli continuano a fare le stesse cose ma con modalità diverse su quest’individuo che risponde ai due fratelli in modo completamente diverso ma nella direzione del gioco, vale a dire che accetta di essere custode per tutti e due, ma senza dire agli altri che gli è stato chiesto di fare un gioco. Quindi è un gioco dove le parti sono strane, ma dove è stata messa in gioco una posta molto alta. Nessuno vince, nessuno si muove e non ci sono miglioramenti, tutto rimane statico. L’altra cosa a cui abbiamo dato molta importanza è la paura della diversità, sia da parte dei due fratelli che è molto subdola, sia nei confronti di Davis. C’è una paura dei due soprattutto rispetto all’identità, perché a uno è stata strappata con l’elettroshock. Un altro non va mai a prendere i documenti e va in giro con un nome falso. L’altro non dice dove abita e non si sa bene che ruolo abbia all’interno di quel piccolo microcosmo e di quella stanza che occupa. Sono gli aspetti più importanti.”

“Perché questo è un gioco senza vincitori?”

“Perché nessuno di loro trova redenzione in quello che è né riesce a trovare lo spostamento, il passaggio, né vuole il miglioramento. Mik, il fratello cattivo, non farà mai quello che dice di voler fare, non ristrutturerà mai la palazzina e non la farà mai diventare una cosa per signori. L’altro fratello non costruirà mai il capanno per gli attrezzi che gli consentirà di andare avanti e migliorare la propria posizione all’interno di quel piccolo microcosmo. Quell’altro, che non vuole stare in quella casa perché gli fa schifo, non andrà mai a prendere i suoi documenti e non sceglierà mai di stare in quella casa o di andarsene. Nessuno di loro farà mai quello che sogna di fare o dice di sognare di fare.”