“IL FU MATTIA PASCAL”: RICOMINCIARE DA ZERO

Ognuno di noi vorrebbe – almeno una volta nella vita – cambiare la propria identità per avere una nuova possibilità di cancellare il passato e ricominciare una nuova esistenza. Potremmo così azzereare la memoria e ripartire più liberi, senza il peso di un fardello ingombrante rappresentato da un passato a volte scomodo. In più saremmo più consapevoli e forti, con un’esperienza e un vissuto che ci impedirebbero di ripetere gli stessi errori.

Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello è in scena fino al 20 gennaio al Teatro Litta di Milano con l’adattamento di Mino Manni (presente anche in scena) e Alberto Oliva, che ha anche firmato la regia. Ne sono protagonisti Marco Balbi, Letizia Bravi, Marco Castellucci e Gianna Coletti.

Intervista ad Alberto Oliva

“Perché Mattia Pascal ha un desiderio così forte di cambiare identità?”

“Io credo che abbiamo un po’ tutti questo desiderio. Infatti Pirandello ha colto nel segno giocando su quest’aspetto. In realtà uno non desidera cambiare identità: il desiderio vero è quello di cambiare vita, di potersi liberare dal peso e dalle conseguenze delle azioni che si compiono. Arrivati a un certo punto della vita, si accumulano i rimorsi, i rimpianti e le frustrazioni; nel caso di Mattia Pascal anche i debiti, la bambina che muore subito dopo il parto e tutta una serie di pesantezze della vita che uno sogna di poter cancellare. Il suo vero desiderio è avere una seconda possibilità, cosa che la vita di solito non concede a nessuno. Questa chance gli succede per caso e lui la prende all’improvviso, come gli capita.”

“Perché il protagonista è così intollerante ai comportamenti di chi gli sta intorno?”

“Credo che sia un’inevitabile conseguenza della vita borghese che a Pirandello stava stretta. Nei suoi personaggi c’è sempre quella vena di follia e di surrealtà. C’è il tentativo di rompere le barriere di una società che impone una serie di condizionamenti strettisssimi, stringenti, pregiudiziali o stereotipati. Mattia Pascal è uno spirito libero: non ha voglia di stare dentro a regole che non rispondono ad alcuna logica. Questa è anche una componente di grandissima attualità per noi oggi. Vale la pena di ritornare su questo testo e di dargli grande voce, proprio perché viviamo in un’epoca in cui è possibile scardinare degli schemi. Questo nonostante molta gente viva ancora con l’idea che quello che gli hanno insegnato sia la verità assoluta e che non si possano cambiare le regole, le consuetudini e il modo di vivere. Ci si imprigiona in una società che molto spesso impedisce la felicità e l’autenticità. Allora il tentativo un po’ donchisciottesco di Mattia Pascal di ricominciare per darsi un’altra possibilità di essere più felice è bellissimo, estremamente attuale ed è proprio il frutto di una ribellione alle restrizioni della vita borghese.”

“Siamo di fronte a un personaggio positivo o negativo?”

“Come per tutti i grandi personaggi e gli esseri umani non credo sia possibile decidere se sia positivo o negativo. Lui alla fine fallisce. Se rispondessi, rischierei di aderire a uno stereotipo secondo cui il suo tentativo è negativo perché finisce male. Però come si fa a dire se è posivo o negativo? E’ uno che ci prova, che ci crede, che prende al volo una possibilità. Si sente vivo, vive il suo essere umano cercando in fondo di scontrarsi con tutte le contraddizioni della vita. In questo senso, come tutte le grandi anime di Dostoevskij o di Cechov che mi è capitato di affrontare, è più importante il tentativo del risultato. Se dobbiamo intenderlo come uno che ci prova, che tenta, che cerca di darsi una seconda possibilità, è sicuramente positivo.”

“Che tipo di riflessione fa Pirandello qui sul Doppio e sulla maschera?”

“La tematica del Doppio e della maschera è quella che accompagna tutti i suoi testi. In questo caso arriva a metterla in gioco nella sua massima possibilità, perché dà veramente una seconda identità al suo protagonista. Quindi porta avanti all’estremo il gioco che sta tra la vita e la morte. Mattia Pascal si interroga costantemente sul perché lui sia morto per la vita e vivo per la morte – come dice lui stesso – perché tutti lo credono morto. In realtà, però, lui è vivo. La sua non è una vita vera, perché non riesce ad affermarsi in pieno come un essere vivente, però non è neanche morto davvero. Quindi lui ha tutte quelle paure che gli altri non hanno. Vive in un limbo che da doppio lo rende quasi evanescente e quasi ombra. Mi ricollego a questo per dire che la cifra dello spettacolo che abbiamo scelto di sviluppare è proprio quella del teatro d’ombre per raccontare tutta la vita di Mattia Pascal. Quindi anche noi giochiamo su questo concetto di maschera. Lo facciamo non tanto mascherando Mattia Pascal ma giocando sull’ombra, per cui tutta la sua prima vita con l’identità di Mattia Pascal viene raccontata con un teatro d’ombre. Poi si squarcia lo schermo attraverso il quale noi vediamo queste ombre e dietro scorgiamo l’attore e la persona. Lui stesso prende coscienza del suo essere umano in carne e ossa e comincia a vivere la seconda vita di Adriano Meis non relazionandosi più con ombre ma con persone vere. Solo che alla fine si specchierà nella propria ombra e dirà: “Chi è più ombra di noi due? Io in carne e ossa o tu? Quella che vedo è la testa di un’ombra, non l’ombra di una testa.” Quindi alla fine non riesce a diventare veramente essere umano in pieno e come lui forse non ci riesce nessuno.”

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Alessandra Paoli per la gentile collaborazione