“IL GIORNO DEL MIO COMPLEANNO”: STORIE DI VITE INTERROTTE

Vincitore del premio Bruntwood 2013 per Playwriting, l’opera prima del 28enne Luke Norris So Here We Are (in italiano Il giorno del mio compleanno) è un racconto su ciò che può accadere quando non succede niente, uno sguardo compassionevole sulle giovani vite interrotte e un toccante ritratto di amicizie infantili che faticano ad accettare la loro vita adulta.

Lo spettacolo apre la stagione del Teatro Filodrammatici di Milano ed è in scena fino all’11 novembre. Diretto da Silvio Peroni, vede protagonisti Giovanni Arezzo, Antonio Bandiera, Laurence Mazzoni, Federico Gariglio, Grazia Capraro e Luca Terracciano.

Intervista a Silvio Peroni

“Qual è la vera forza di questo testo?”

“Il lavoro con gli attori e la loro disponibilità di mettersi in gioco. Il rispetto che noi diamo al nostro lavoro e agli spettatori si basa fondamentalmente sul lavoro che noi facciamo. E poi c’è l’enorme energia e la forza di un gruppo di sei giovani attori tra i 23 e i 28 anni.”

“Perché la tua regia tende a mettere in risalto le storie e i conflitti dei protagonisti?”

“Perché penso che sia un dovere del teatro. Di che cosa deve parlare il teatro? Non è una speculazione intellettuale. Il teatro fondamentalmente parla dell’unica opera d’arte che fonde un uomo con un uomo, cioè l’attore con il personaggio e con lo spettatore. Quindi passano queste vibrazioni. E’ chiaro che devo mettere in risalto il conflitto tra i personaggi, non semplicemente speculare artisticamente e idealmente con trovate sceniche che cercano di stimolare solo l’intelletto o comunque un ego intellettuale dello spettatore. Cerco di arrivare anche a un sensibile.”

“Qual è l’elemento drammaturgico che affiora?”

“Quando si affrontano le regie bisogna sempre stare attenti a quello di cui si vuole parlare. O meglio, il dovere del regista è quello di cercare di capire il tema del testo. Ogni grande testo ha un tema che sviluppa. L’elemento drammaturgico qui è rappresentato dal conflitto enorme che c’è con il luogo. E’ quasi speculare a “Le tre sorelle” di Anton Cechov. Il conflitto e il desiderio di fuga e di libertà sono il tema dove tutti i personaggi convergono. Ne “Le tre sorelle” tutti convergono bene o male nella stessa cosa: c’è chi accetta il luogo e chi lo rifiuta. Anche qua, essendo ambientato in provincia, io che sono cresciuto in provincia so che cosa significa un rapporto conflittuale e arrendevole o di accettazione del luogo in cui si è nati. A volte la provincia è veramente un compartimento stagno, un reparto chiuso dov’è difficile emergere ed uscire. Quando si cerca di farlo a volte può anche uccidere.”

“Quali sono le immagini emotive che le parole del testo ricreano?”

“Questa è una bellissima domanda, anche perché nel nostro processo all’inizio ho parlato di lavoro e nel lavoro che facciamo con gli attori, come per l’essere umano, ogni parola che noi diciamo ha un’immagine associata. Nessuno di noi parla per parola stampata o esclusivamente per speculazione intellettuale, ma c’è un processo antico e analogico nel cervello umano. Quindi tutte le parole che vengono pronunciate dall’essere umano hanno un richiamo emotivo e un determinato valore in una determinata situazione. La cosa che emerge, soprattutto nella prima parte, è l’immagine dell’amico morto con i suoi ricordi. Sono tutte immagini che continuano ad evolversi e nella seconda parte parliamo della relazione che ha il ragazzo con il luogo, della sua volontà di fuga e della sua incapacità di scapparne. La chiamo fuga volontariamente, perché è di questo che si tratta.”