La Scatola magica del Piccolo Teatro Strehler di Milano propone fino al 24 gennaio Iliade, mito e guerra. Diretto da Stefano Scherini e con la drammaturgia di Giovanna Scardoni vede come unico protagonista sulla scena Nicola Ciaffoni, che ci presenta un poema sulla guerra e l’esaltazione del valore militare degli eroi. Tutto avviene dal punto di vista delll’archeologo Heinrich Schliemann che scoprì la città di Troia. Siamo di fronte alla narrazione di tutte le persone coinvolte in un conflitto bellico e all’impeccabile descrizione di una tragedia devastante.
Tra le pieghe dei versi bellissimi di Omero, ci sono il dolore per la morte di un figlio o di un marito, di un fratello o di un amico, la battaglia disperata per difendere la propria città o il proprio onore, la paura della distruzione e della perdita.
Teatro.Online ha intervistato Nicola Ciaffoni, protagonista dello spettacolo.
“La guerra di Troia è considerata la madre di tutte le guerre. Questo si deva al fatto che è stata la prima ad arrivarci sotto forma di testo scritto oppure ci sono anche altri motivi?”
“Iliade è la prima testimonianza scritta di una guerra in Occidente. Viste le sue proporzioni mitiche, non sappiamo se sia stata combattuta, né quando, né dove, né perché. Tutto è avvolto in un mistero storico abbastanza difficile da decifrare. Però la bellezza dei versi di Omero rende la battaglia di Troia una guerra indimenticabile e archetipica. Tutte le guerre combattute in seguito hanno il minimo comune denominatore del conflitto omerico. Possono cambiare le armi che diventano più moderne, efficienti e perfette per uccidere l’uomo, ma Omero ha la capacità di sintetizzare l’ossessione per la guerra in modo esemplare. Talmente esemplare da diventare ascrivibile alle guerre moderne”.
“Come si è rapportata al testo di Omero la drammaturga Giovanna Scardoni?”
“In due modi. Attraverso improvvisazioni e grazie al fatto che essendo io laureato in lettere classiche, ho una preparazione ampia in materia. Giovanna mi ha chiesto di improvvisare descrivendo i punti di vista su ‘Iliade’ per ogni personaggio. Ogni volta dovevo assumere quindi un ruolo diverso e raccontare l’Iliade secondo Ettore, Agamennone e gli dei. Il secondo modo è stato il rapporto con i veri versi di Omero. Sono presenti nello spettacolo nelle due traduzioni: quella di Maria Grazia Ciani in prosa e quella di Rosa Calzecchi Onesti in versi. Quest’ultima ci permetteva di far sentire la musicalità del testo greco. Non è la stessa dell’originale, ma è sempre poetica. Abbiamo inoltre voluto regalare al pubblico l’omaggio del famoso proemio tratto dalla traduzione di Vincenzo Monti, che molti di noi hanno studiato a scuola. Anche quello rappresenta una tradizione storica”.
“Che connotazione assume rispetto ad Omero l’Iliade interpretata con le parole dell’archeologo Heinrich Schliemann che tu impersoni in questo spettacolo?”
“Schliemann ci serve per utilizzarlo come aedo moderno. Un aedo è un monologhista ante litteram. Ce ne serviva uno che raccontasse la nostra Iliade e Schliemann ha avuto questo compito. Poi c’era l’intenzione di usare un personaggio storico realmente esistito. Schliemann morì nel 1890. I libri di storia dell’arte parlano di lui. Ci ha consentito di prendere una storia mitica e lontana nel tempo facendola diventare reale e concreta, non più leggendaria e piena di eroi e dei. Schliemann riporta la vicenda alla concretezza in maniera un po’ schizofrenica, convulsa e ossessiva. Noi abbiamo trasformato l’ossessione di Schliemann per il ritrovamento di Troia in quella che l’uomo ha per la guerra”.
“Che ruolo hanno gli Dei nello svolgersi della storia?”
“Per rendere sulla scena la modernità di quei tempi, dato che la nostra figura di Dio non corrisponde più a quell’idea di divinità, ci siamo concessi un divertimento linguistico. La parola ‘divo’, del cinema o della televisione che sia, una volta veniva associata a Giove. Noi non abbiamo fatto altro che seguire la sua evoluzione linguistica. Quindi abbiamo fatto evolvere i nostri Dei in star del cinema e della televisione. In questo modo brillano della luce dei talk show, di photoshop e delle paillette del grande schermo, potendosi permettere un tipo di vita legato al divismo. Sono Dei umani, ma frivoli e grotteschi”.