PACTA.dei Teatri presenta dal 3 al 13 novembre al Pacta Salone di Via Ulisse Dini a Milano “INTERNIscespiriani“. Si tratta di uno spettacolo Ideato e diretto da Alfonso Santagata, anche protagonista in scena con Anna Chiara Fenizi, Silvia Franco, Julieta Marocco Esteves e Massimiliano Poli.
Il Portinaio del Macbeth oggi è il portinaio di un condominio dove abitano le creature ancora in ombra di William Shakespeare e dove regnano intrecci di un quotidiano straordinario e paradossale. Al suo portone si presentano il fattore, che imbosca il pane per farne aumentare il prezzo; Equivocos, il mistificatore e fabbricatore di equivoci, e il sarto, che ruba la stoffa come Macbeth ruba la corona: tipici farabutti, tutti e tre comuni profittatori, evasori che pensano solo ai propri interessi.

Teatro.Online ha intervistato Alfonso Santagata, ideatore, regista e protagonista dello spettacolo.
“Lei ha deciso di lavorare sull’universo scespiriano partendo dall’idea di spazio. Vogliamo parlare della sua importanza?”
“Assolutamente sì. Da 25 anni al Festival di Sant’Arcangelo faccio un lavoro sugli spettacoli itineranti. Questo significa arrivare in un luogo, trasfigurarlo e inventare in esso le situazioni. Io avevo già fatto ‘EsterniScespiriani‘ lavorando sullo spazio, che per me è sempre stato determinante. Una volta ho fatto un lavoro all’esterno in un cimitero e partendo sempre da quello, ne ho fatto un altro all’interno che si chiamava ‘Polveri’, sempre legato a quell’universo scespiriano. Sono i luoghi e gli spazi che determinano le situazioni. Per me è fondamentale. Anzi, trasfigurare un luogo è una delle poche cose che mi piace. E lo faccio con colori, luci e figure drammatiche particolari. Un conto è vedere un luogo con l’occhio del quotidiano, un conto è immaginarselo la notte con feritoie, purgatori e luci molto forti. Sono tutti elementi che servono a dare ossigeno al luogo”.
“E’ altrettanto importante la psicologia e il carattere dei personaggi, giusto?”
“Sì, ma c’è qualcosa di precedente che è molto più interessante. La psicologia nasce nella nostra età. Per me il riferimento culturale più importante è quello dell’antropologia, del mito e del rito. In questo senso sono dei riferimenti che mi aiutano molto”.
“Nelle note di regia lei ha detto: ‘La limitazione imposta allo sguardo è apertura a immaginazione e fantastico’. Che cosa significa?”
“Dopo 40 anni che faccio teatro, non voglio assolutamente negare il luogo del teatro. Noi siamo in Italia, c’è il teatro all’italiana. Ma anche un luogo obbligato come il teatro all’italiana al chiuso diventa un posto fantastico, nel senso che con i colori e le luci l’illusione può apparire. Non trovo che un luogo al chiuso sia meno favorevole a un immaginario drammatico rispetto a uno all’aperto. Perché anche in un luogo al chiuso come il teatro obbligato all’italiana si può creare l’illusione. Questo significa far nascere un immaginario forte per il pubblico attraverso i neri, le luci e le quinte”.
“Lei ha definito questo spettacolo un’invenzione e un atto d’amore a Shakespeare. In che cosa lo è?”
“Nel fatto che questa volta ho lavorato sulle figure minori. Partendo dall’universo di Shakespeare, ho innervato anche l’attualità lavorando sui personaggi secondari. Come il portinaio del ‘Macbeth’, raffigurato in un modo molto strano. Molti studiosi di Shakespeare non pensavano che avesse scritto tante volgarità affrontando il portinaio del ‘Macbeth’. Si trattava però di un espediente che a Shakespeare serviva per equilibrare gli aspetti trucidi e atroci. Quindi lui ha creato un contrappunto bilanciando la violenza di questa tragedia. Per esempio, un’altra figura molto forte e presente è quella di Calibano; è un altro testo di Shakespeare in cui questo personaggio si è evoluto con il tempo. Siamo arrivati al punto che Calibano lavora in Italia e non vede l’ora di tornare sulla sua isola con tutti i suoi soldi e di fare finalmente la bella vita con sua madre”.