Promiscua è la Natura per sua natura, la società che si innamora, la grammatica senza genere. Promiscua è la vita come lo è l’arte. Al centro dello spettacolo c’è la figura di Persefone, mito stupendo di vita e di morte, progetto di performance dedicate al femminile in tutte le loro potenzialità creatrici e distruttrici.
Promiscua è in scena al Teatro della Contraddizione di Milano dal 13 al 16 ottobre. Ideata da Giuseppe Isgrò, la pièce vede protagonisti diversi performer e interpreti tra cui Elia Moretti, Daniele Fedeli, Mario Eleno, Eugenio Vaccaro, Nicola Ratti e Micaela Brignone.
A tu per tu con Giuseppe Isgrò
Tutto nasce dal libro di Diego Vincenti, che dà anche il titolo allo spettacolo, giusto?
Sì. Il libro prende spunto da tutto quello che noi costruiamo in maniera interdisciplinare attraverso ma oltre il teatro. Promiscua era già il nome della branchia performativa di Phoebe Zeitgeist che Diego Vincenti ha deciso di usare come titolo. Ha poi aggiunto come sottotitolo Conversazioni con Phoebe Zeitgeist. E’ l’idea delle nostre origini, quella cioè di non considerare il teatro come un compartimento stagno chiuso di linguaggio, ma di unirlo a tutti quelli delle arti e di renderlo interdisciplinare come dovrebbe essere. Lo scopo è quello di dare pari dignità e peso a tutte le componenti che costruiscono l’atto performativo.
La Natura è protagonista, ma con la figura di Persefone, lo è anche la mitologia?
Diventa piano metaforico che ritorna all’oggi usando il mito filosofico della maternità, della crescita, dell’oscurità contrapposta alla luce e quindi della chiusura messa davanti allo spazio aperto. Nella chiave contemporanea, il mito di Persefone diventa quasi un topos. Dentro esso c’è un doppio ricatto: quello di voler stare nelle viscere della terra con lo zio stupratore e marito Plutone e quello della volontà di uscire per raggiungere la madre Demetra disperata che chiede la presenza della figlia per dare i frutti alla Terra, regalando quindi la primavera al Pianeta.
In questo rientrano la Natura e qualcosa che nasce durante la pandemia attraverso una commissione di Andrea Perini su Chiaravalle, Terzo Paesaggio. Da lì abbiamo iniziato a lavorare prendendo Persefone come emblema. Da lì è diventata un’evoluzione ecologica del femmineo in tutte le sue potenzialità creatrici ma anche distruttrici. Perciò Persefone si è arricchita dell’apporto testuale di vari autrici che hanno in comune questo desiderio di esclusione e questa potenza messianica dall’antichità ad oggi. Siamo partiti da Saffo, passando per Hildegard Von Bingen e Virginia Woolf per arrivare a Simone Weil. Quindi è un femmineo che lotta contro la conformità e soprattutto contro il mito del progresso.
Anche l’arte ha un ruolo importante. E’ così?
Sì, ed è quello del teatro. L’arte visiva è per noi una miniera di immaginario costante.
In che cosa si manifesta il tema del “qui e ora”?
Nel fatto che tutto ciò che avverrà in Promiscua sarà reale, in quanto sia Persefone la ferita sia Persefone intesa come corpo celeste sottopongono l’atto performativo a una durata di costruzione come il muro che viene fatto crollare, composto di travetti irregolari. E’ precario e rischia costantemente di venir giù, quindi tutto ciò che succede o non succede in maniera esclusivamente programmata e montata nello spettacolo teatrale è sottoposto a rischio e incisione. E’ qualcosa che avviene veramente qui e ora, non solamente perché siamo a teatro e c’è la compresenza di attori e spettatori. All’interno dell’atto performativo esiste anche qualcosa che rischia di fare male e di fermarlo.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Micaela Brignone per la collaborazione
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