VANESSA KORN, “QUELLI CHE RESTANO”

Quelli che restano è uno sguardo sulla vita di quattro persone come tante, come altre. Persone che, come tutti noi, sono state attraversate da questo anno difficile da dimenticare, un anno che ci ha messi davanti alla perdita, in tutte le sue forme. Camminando però in mezzo a quello che non c’è più, queste quattro vite guardano a braccia aperte a quello che resta, con un po’ d’ironia e tanta tenerezza.

Immagini del canale Youtube: Umberto Terruso

Quelli che restano è in scena al Teatro Arsenale di Milano dal 10 al 12 dicembre. Scritto da Vanessa Korn e diretto da Francesca Gemma, lo spettacolo vede come unica protagonista la stessa Vanessa Korn.

A tu per tu con Vanessa Korn

Chi sono quelli che restano?

Sono quelli che restano a casa, cioè tutti noi per un certo periodo di tempo. Sono quelli che restano soli, insieme, di sasso e basiti. Siamo tutti noi, ogni tanto. Sono anche quelli che si chiedono dove vorrebbero restare per davvero.

Questi personaggi sono stati paragonati agli alberi. Perché?

Questo nasce dal fatto che abbiamo visto una conferenza bellissima di una biologa che raccontava come gli alberi, pur essendo fermi, comunicano anche attraverso le loro radici a raggi di kilometri l’uno dall’altro. Questa cosa ci ha affascinati tantissimo e l’ abbiamo paragonata al modo di stare al mondo degli esseri umani. Forse non ce ne rendiamo conto ma in realtà siamo collegati l’uno all’altra molto di più e anche a chi pensiamo non ci riguardi o non entri nella nostra cerchia di persone quotidiane.

Quanto parla del Covid questo spettacolo?

Poco e niente. E’ solo pretestuoso, è una cornice temporale. E’ ambientato durante il primo lockdown, ma questa situazione si fa quasi metafora di una condizione esistenziale di un momento storico in cui innanzitutto abbiamo molto pudore a mettere in scena uno spettacolo che parlasse di quel momento. La prima volta che l’abbiamo portato in scena abbiamo provato un estremo sollievo, anche con il pubblico, per poter affrontare questo tema senza che diventasse qualcosa di cui sentiamo parlare talmente tanto e talmente male a livello di opinionismo che diventa poi difficile pensare di poterne parlare con delicatezza e con amore come di una cosa che abbiamo attraversato tutti e che stiamo attraversando, all’interno della quale si svolgono dinamiche e accadono cose.

La pandemia ci ha anche obbligati a rivedere il nostro rapporto con la perdita delle persone che amiamo?

Sì, certo. Con il senso di perdita in generale. La perdita esiste sempre come concetto, è la categoria attraverso la quale ci separiamo e diventiamo adulti. Di solito, invece, cerchiamo di metterla un po’ sotto il tappeto. Non è una cosa con cui si ha piacere di passare tanto tempo con il pensiero. Questa pandemia ci ha invece messi davanti alla perdita tutto il tempo e quindi non si poteva non parlarne. Anche per questo abbiamo quindi voluto raccontare una storia che non mettesse sotto il tappeto il fatto che siamo tutti passati attraverso un evento molto grande e forte. Però si può parlarne senza strillare e avere un’opinione, ma semplicemente con delicatezza e con ironia.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Nicola Sisti Ajmone per il supporto professionale
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