Nell’Italia del 1943 dell’armistizio badogliano, un gruppo di amici sta festeggiando il compleanno del padrone di casa. Un momento conviviale e spensierato che dovrebbe distrarre dal dolore causato dalla seconda guerra mondiale e dalle privazioni del conflitto bellico. Proprio quella sera, però, vengono assassinati due ufficiali tedeschi. Il duplice omicidio darà alla storia una svolta tragica e inaspettata.

La cena delle belve di Vahé Katchà è in scena al Teatro Carcano di Milano fino al 19 gennaio. La regia è di Julien Sibre e Virginia Acqua, mentre il testo francese è stato tradotto e adattato in italiano da Vincenzo Cerami. I protagonisti dello spettacolo sono Marianella Bargilli, Emanuele Cerman, Alessandro D’Ambrosi, Maurizio Donadoni, Ralph Palka, Gianluca Ramazzotti, Ruben Rigillo e Silvia Siravo.
La parola a Maurizio Donadoni
“Quali sono i tratti caratteriali più importanti di Andrea, il suo personaggio?”
“Il mio personaggio è il più carogna di tutti: è un affarista, uno speculatore e fa affari con i nazisti. Non perché sia nazista, ma perché sono i vincenti in quel momento e poi perdono. La commedia è ambientata subito dopo la battaglia di Stalingrado. Quindi all’apparenza è il più cinico e disgraziato, che fa battute tremende come ‘Preferisco essere un nazista vivo che un italiano morto!'”
Quando un pervertito minore trova un pervertito maggiore che esprime le sue opinioni gli è riconoscente perché gli evita di esporsi. In Andrea ci sono tutti i lati peggiori concepibili dalla gente. Noi facciamo tanto i bravi, ma se avessero vinto i nazisti, cosa sarebbe accaduto? Quando il vincitore è certo, il carro si affolla. Se dovessi trovare un tratto buono di Andrea, direi che è la sua grande vitalità che però può anche trasformarsi in stupidità, opportunismo, debolezza e vigliaccheria.”
“Che cosa accomuna e che cosa rende diversi i personaggi?”
“Sono tutti uomini e donne di paglia. Rendo onore a quei 130.000 oppositori del nazismo che in Germania sono stati uccisi. Dicono che la Germania non ha resistito a Hitler, anche se ci ha provato. In Italia, se n’è parlato per decenni.”
“Quanto è rimasto del testo originale di Vahé Katchà?”
Il testo è stato riadattato da Vincenzo Cerami per ovvie differenze, perché in Francia era ambientato ai tempi della sconfitta di Paulus. In quel momento si iniziava a percepire nell’aria un cambiamento dell’esito della guerra. Noi eravamo alleati con i tedeschi. Sono stati fatti un po’ di spostamenti nel tempo: bisogna tenere conto dell’8 settembre, dell’occupazione di Roma e dello sbarco di Anzio. Nel nostro lavoro è tutto più teatralizzato e i ritmi interiori sono per forza di cose quelli della commedia e del vaudeville: sostenuti e infernali. Essendo passati 80 anni dalla seconda guerra mondiale, oggi pensiamo a un impero che doveva durare mille anni e che invece è durato solo 12. Questo è ridicolo, anche se ha portato a effetti devastanti.”
“Siamo di fronte a un gioco al massacro nell’Italia mussoliniana pieno di tensione e humour nero ma dove non manca l’ironia?”
“Cerami ha virato su questo: nello spettacolo francese c’è la tradizione del teatro di conversazione e un po’ più “intellettualistico”, senza accenti o intonazioni. Una città perfetta per ambientare in Italia questa commedia sarebbe stata Torino, perché i torinesi hanno un aplomb aristocratico, tant’è vero che la borghesia torinese parlava in dialetto. Invece lo spettacolo è ambientato a Roma e non poteva esserlo in una città del sud. Roma era una città aperta, quindi con il nostro spettacolo si ride di più, perché l’italiano appena deve salvare la pelle le tenta tutte, senza vergogna. A un certo punto gettano tutti la maschera: à la guerre comme à la guerre! Mors tua vita mea! C’è tutta la disponibilità dell’italiano ad arrabattarsi!
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Brunella Portoghese per il supporto professionale