L’interno di un convento è la scena della storia. Una grata immensa, un divisorio, un ostacolo per una storia d’amore. Qui c’è la monaca di Monza, personaggio complesso e misterioso, che riassume e rievoca molte caratteristiche dei diversi personaggi delle suore di clausura fra il ‘600 e l’800, dalla cronaca scandalosa alla letteratura e viceversa, da Enrichetta Caracciolo a la Religieuse di Diderot, alle monache napoletane portate in luce da Stendhal.
Una delle figure più controverse della storia letteraria viene portata in scena da Annig Raimondi al Pacta Salone di Milano fino al 14 maggio con lo spettacolo La monaca di Monza alias suor Virginia Maria alias Marianna De Leyva. Sul palco anche Alessandro Pazzi ed Eliel Ferreira de Sousa.
Parlano Annig Raimondi, Alessandro Pazzi ed Eliel Ferreira De Sousa
E’ l’alone di mistero che c’è intorno a questo personaggio a renderlo così complessa e affascinante?
Annig Raimondi: E’ una figura storica prima che letteraria, quindi il fascino è stato proprio quello di calarsi nella sua vita e in tutti gli ostacoli che ha dovuto superare. Dalla sua nascita in avanti è stata un’eterna carcerata. Il mistero è quello della vita umana, nel senso che non si sa tutto quello che è successo veramente. Storicamente sappiamo che Marianna De Leyva è stata indotta a diventare suora di clausura e che ha assunto il nome della madre, Virginia Maria, morta quando lei era piccolina. In seguito, all’interno del convento di santa Margherita di Monza, lei e tutti quelli che le stavano intorno ne hanno combinate di cotte e crude. Poi, grazie ad Alessandro Manzoni, è diventata esemplare rispetto a una certa situazione di costrizione monacale o di figura indirizzata al male.
Manzoni le rese giustizia, secondo voi?
Alessandro Pazzi: Lo fa forse di più in Fermo e Lucia, dove dedica molti più capitoli alla monaca. Ne I Promessi Sposi quelli che le riserva sono solo due, il nono e il decimo. Nel nono c’è l’incontro con Lucia e nel decimo la digressione sulla sua storia. E’ solo il ricciolo di capelli che esce dal velo a far capire che ha una sorta di vanità, però forse Manzoni non le rende giustizia e non la nomina nemmeno interamente perché la chiama Gertrude. Anche l’Osio viene chiamato Egidio.
Annig Raimondi: Il problema è che l’occhio manzoniano e cattolico le fissa già una colpa nella sua maschera, perché la figura della monaca di Diderot è in pieno illuminismo, la visione è razionale e c’è uno scagliarsi contro le istituzioni che costringono queste creature ancora adolescenti a un’illibertà totale.
Perché finì sotto processo?
Annig Raimondi: Perché nel monastero di Santa Margherita di Monza furono commessi degli omicidi e circolavano degli uomini, tra cui principalmente il suo, che lei ha amato moltissimo: un nobile che viveva nel giardino della sua bella abitazione adiacente al monastero. Sono state scoperte alcune fughe ed entrate e uscite dal monastero; scomparivano chiavi, sparivano converse (giovani monache). Man mano, il cardinale Borromeo ha imposto controlli e hanno trovato una suora morta. Tutto ciò avveniva fra riti di stregoneria realizzati dai preti stessi interni al convento.
Alessandro Pazzi: Padre Arrigone era uno dei più laidi e scriveva addirittura le lettere, perché Osio era analfabeta quindi le dettava, Arrigone le scriveva e poi Osio le mandava. Poi c’è la famosa battuta che dice Annig…
Annig Raimondi: Non era scomunica all’uomo entrare nel monastero ma la scomunica era per la monaca uscire. Bisogna considerare che lei amava Osio di un amore profondo e di una passione carnale, che non riusciva a controllare. E’ quello di cui alla fine si lamenta; sarà punita e la sua punizione sarà ufficialmente resa famosa perché la considerano una penitente che poi ha visto la luce e la grazia. E non è così. Alla fine lei dice la sua.
Una volta uscita dal carcere, riuscì ad affrancarsi dal suo passato?
Alessandro Pazzi: Lei è uscita pentita dalla cella di un metro e ottanta per tre dopo 13 anni.
Annig Raimondi: E’ riuscita a vivere per 75 anni e convertiva le giovani prostitute in carcere. Si è dedicata solamente a portarle verso la fede. Uno può pensare che sia paradossale rispetto al fatto che non era ben vista ma non è così: era un’adolescente tappata dentro che non poteva vivere la propria vita. La sua è una liberta con cui cerca di sfuggire alle regole della società e della Chiesa, perché non era mai stata libera né in famiglia né in convento. La legge non la proteggeva; per cui lei, con grande intelligenza e strategia, ha trovato una propria strada.
Eliel, mi vuoi parlare un po’ del tuo personaggio?
Eliel Ferreira de Sousa: E’ un padre diviso tra la figlia e il potere. Quello che mi colpisce di più è che, per quanto riguarda la donna, la giustizia non è per niente cambiata rispetto a quel secolo. La violenza di genere è adesso in tutto il mondo. Come diciamo in scena, bisogna risvegliare la mentalità verso i soprusi contro il genere femminile e risolvere il problema. Io penso che non sia tanto un problema delle donne ma degli uomini che le violentano.
- Intervista video di Andrea Simone
- Si ringrazia Giulia Colombo
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