Il vecchio Hoibitter non ha niente, tranne un paio di mutande e un sogno alimentato dalla creatura mitologica del titolo: la puttana dell’Ohio, che vive in una grande villa circondata da un immenso parco in fiore, cavalca un purosangue nel suo bosco privato, non vuole soldi e non ha bisogno di clienti.
Nelle mutande giace invece, irrevocabilmente morta, la creatura che si vorrebbe riportare in vita,
foss’anche per qualche breve istante…
La puttana dell’Ohio è in scena al Teatro Out Off di Milano in prima nazionale fino al 4 giugno e vede protagonisti Mario Sala, Antonio Gargiulo e Stefania Ugomari di Blas, che hanno anche firmato la regia dello spettacolo scritto da Hanoch Levin e tradotto da Pino Tierno.
Quattro domande a Mario Sala e Antonio Gargiulo
Partiamo col botto: chi è veramente la puttana dell’Ohio?
Mario Sala: La puttana dell’Ohio è un mito. Tutti noi abbiamo miti, immagini e sogni che inseguiamo per tutta la vita, quindi la puttana dell’Ohio è il mito del vecchio Hoibitter, che per tutto il testo anela a un ricongiungimento e alla fine, sia pure rocambolescamente, riuscirà a unirsi quasi in matrimonio con lei.
Siamo anche di fronte a un’opera sulla potenza dell’immaginazione?
Antonio Gargiulo: Esattamente. Lo siamo perché tutti e tre i personaggi che interpretiamo (e io ho il ruolo del figlio di Hoibitter) hanno un sogno. Quello che avvicina di più alla dimensione onirica è la propria immaginazione. L’unica possibilità che viene data a ognuno di noi in una condizione molto bassa è quella di immaginare.
Veniamo alle note tecniche: che tipo di lavoro ha fatto Pino Tierno sul testo originale di Hanoch Levin?
Mario Sala: Il testo è scritto in ebraico da un autore israeliano. Sul suo sito, quindi autorizzati dallo stesso Hanoch Levin, ci sono tutti i suoi testi disponibili in inglese. Tra l’altro, Levin è un autore estremamente prolifico, ha scritto moltissimo. Che io sappia, in Italia è stato rappresentato solo una volta da Andrée Ruth Shammah al Teatro Franco Parenti. Pino Tierno è partito da un testo inglese e noi in qualche piccolo caso abbiamo ritoccato alcuni dettagli. Pino ha però fatto una traduzione molto bella, alta e poetica. Ha trovato una lingua veramente potente per esprimere questo testo che passa dal lirico al comico e al prosaico. Ha tanti registri e Pino in qualche modo è riuscito a tenere conto di questa complessità nella nostra lingua italiana.
E voi come registi che tipo di lavoro avete fatto su voi stessi come attori?
Antonio Gargiulo: La maggior parte delle scene sono a due e quindi ci siamo affidati all’occhio del collega o della collega che rimaneva fuori. Di volta in volta, se eravamo in scena Mario ed io, Stefania Ugomari Di Blas ci dava uno sguardo da fuori, affidandoci così l’uno all’altro. Il primo spettatore di questa nostra messa in scena è stato Lorenzo Loris, regista storico del Teatro Out Off, che ci ha dato una grande mano. Abbiamo cercato di metterci al servizio del testo e della bellissima traduzione di Pino Tierno, tentando di restituire le atmosfere che ci sono in questo autore, che personalmente non conoscevo e che mi ha proprio stupito.
Mario Sala: E’ un autore tutto da scoprire. Questo testo è veramente un capolavoro altissimo di grande spessore letterario e lirico ed è anche molto divertente. Lo dico a livello oggettivo. Io sono convinto che prima o poi arriverà a entrare nell’apogeo dei grandi testi della drammaturgia del Novecento.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Martina Bruno
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