
Al Teatro della Cooperativa di Milano è in scena fino a domenica 23 ottobre “La scuola non serve a nulla”. Antonello Taurino porta in scena uno spettacolo “semiserio” scritto a quattro mani con Carlo Lovati su un professore di confine, che per motivi sconosciuti viene sospeso dall’insegnamento. Una decisione presa forse per i suoi metodi didattici considerati troppo anticonvenzionali, ma che lui ritiene gli unici adatti a catturare l’attenzione di un gruppo di ragazzi poco interessati allo studio e alla cultura.
Teatro.Online ha intervistato Antonello Taurino.
“Perché il mestiere di attore e quello di insegnante hanno così tanti punti di contatto in questo spettacolo?”
“Perché io la mattina faccio il docente precario e la sera l’attore comico. Abbiamo indagato il territorio comune tra questi due mondi. Sia l’insegnante che l’attore indagano su un territorio comune: entrambi raccontano la storia di un pubblico ed entrambi improvvisano. Soprattutto sgomitano per un ruolo. Visto che con il piano di Governo della Buona Scuola i presidi sceglieranno i docenti con una specie di provino, a entrambi viene detto: ‘Le faremo sapere’. Sono due mondi che avrebbero tanto da dirsi ma che dialogano poco. L’unica cosa che li accomuna è la precarietà di chi lavora. Gli attori avrebbero tante cose da imparare dai docenti.
“Le riforme scolastiche degli ultimi 15 anni hanno fatto peggiorare le cose?”
“Adesso c’è questa fantastica Buona Scuola renziana. E’ la ciliegina sulla torta di tutte le riforme di prima che comprendono tanti aspetti contro i quali non posso fare altro che scagliarmi. Ovviamente la mattina da professore non posso farlo. La quantità di lavoro dei professori non è mai stata così pesante come adesso per le cose burocratiche che ci sono da fare. Questo avviene in un momento in cui il livello di riconoscimento sociale ed economico dei professori tocca il minimo storico con la massima richiesta”.
“Per adeguarci alle esigenze e alle specificità di ogni singolo alunno, la didattica richiederebbe un numero di insegnanti di sostegno decisamente maggiore rispetto a quelli di adesso. Come dico nello spettacolo, noi potremmo fare davvero quello che ci chiedono solo se avessimo 10 alunni per classe. Ci capitano una serie di situazioni disagiate, come quelle di alunni stranieri o dislessici, cui vorremmo dedicarci, ma gli insegnanti di sostegno non sono abbastanza. Almeno noi lo diciamo”.
“Come risponderesti a chi potrebbe giudicare antieducativo un titolo come quello dello spettacolo?”
“In effetti lo è. Io la sera posso permettermi totalmente di fare l’antieducatore. Più lo faccio la sera più sono educato la mattina. Sono molto vecchio stampo e austro-ungarico riguardo all’educazione. Ci deve essere rispetto altrimenti non ci si può divertire. Io ho fatto la scuola del rispetto nei confronti dei professori. Mi devo adeguare alle specificità di un alunno, non alla sua maleducazione. Chi ha visto le prove dice che il mio è uno spettacolo che trasuda amore per l’insegnamento”.
“Nelle note dello spettacolo, citate “L’attimo fuggente” con Robin Williams. Oggi un insegnante può ancora sperare che qualche ragazzo si alzi come nel film dicendo “Oh capitano, mio capitano!” ripagandolo così in parte dei disagi che subisce a scuola?”
“E’ un grande dilemma. Vedo tante divisioni tra di noi. Quando c’è il gesto dell’alunno che ti ripaga di mille ingiustizie non ci dobbiamo accontentare. Quando arrivano una riforma brutta e una legge assurda, noi insegnanti tendiamo a scannarci tra di noi, però arriva il biglietto di un alunno che ci ripaga di mille ingiustizie. Sì, può succedere, ma l’importante è che questo non ci faccia passare sopra a tante riforme pessime, perché questa è una riforma pessima. Il concorso è stato organizzato malissimo. Va bene essere ripagati dai ragazzi ma non bisogna fermarsi lì”.