“LA NOTTE DI PINOCCHIO”: UN BURATTINO IN CARNE E OSSA

La notte di Pinocchio è la storia dopo la favola, dopo il presunto lieto fine. Che ne è stato della sua vita? Per lui non si sono sprecati ad usare neanche la formuletta di rito. La favola più fiabesca di sempre non finisce con un rassicurante “e vissero felici e contenti”.

Il trailer dello spettacolo

Al Teatro Delfino

Lo spettacolo è in scena al Teatro Delfino di Milano dall’11 al 14 aprile. Scritto da Marco Avarello e diretto da Linda Di Pietro, vede protagonisti Carlo Valli, Cristina Giachero, Letizia Letza e Lorenza Grilli.

Intervista a Linda Di Pietro

“Quanto può essere originale un Pinocchio in carne e ossa?”

“Come elemento di originalità, in questo caso Pinocchio non è soltanto in carne e ossa, ma ha anche una certa età. Noi troviamo un Pinocchio anziano, che ha vissuto la propria vita, che dalla favola è passato a una vita vera e che fa una serie di considerazioni, un bilancio di quella che è stata la sua vita dalla favola in poi. Quindi c’è un primo elemento che si allontana dal Pinocchio di Carlo Collodi e dell’immaginario.

Questo Pinocchio anziano è interpretato da Carlo Valli, un attore straordinario che dà corpo e voce a un personaggio molto umano e in contatto con quello che trova, che ha vissuto, con quello che considera sia stato tutto quello a cui ha rinunciato per essere prima bambino e poi uomo. L’autore di questo testo è Marco Avarello, che è partito da Carlo Valli e ha scritto il testo per lui. Quindi siamo tutti molto affezionati a questo spettacolo perché racconta un po’ una parte di noi.

Tutti quanti in qualche momento della vita ci troviamo a fare un bilancio di quello che avremmo voluto e siamo riusciti a realizzare, di quello che ancora sogniamo, perché non si smette mai di sognare. Quindi forse proprio perché racconta questo, appartiene un po’ a tutti. La stessa cosa vale per la favola di Pinocchio, che non è solo italiana, ma è conosciuta nel mondo proprio perché racconta dell’eterno dilemma tra quello che vorremmo essere e quello che gli altri vogliono per noi, tra quello che sogniamo, che desideriamo e che ci fa piacere.

Si parla anche di questo, di Lucignolo, della sua voglia di essere libero, di provare piacere, di godersi la vita e quindi ci sono tanti temi, perché quando si passa dalla fiaba alla realtà si affrontano i grandi argomenti della vita che ci appartengono, che però affondano le radici nella fiaba come nel mito. La fiaba ci dà la grande possibilità di specchiarci.”

“Qual è l’importanza di voler eliminare il lieto fine?”

“Il lieto fine è forse qualcosa che noi raccontiamo quando non siamo pronti a guardare in faccia la vita, per quello che è. Quindi è una forma addolcita di coscienza, uno specchio sfumato. Infatti noi immaginiamo il lieto fine come un riferimento ai bambini, quindi l’importanza di non raccontare un lieto fine è quella di potersi rispecchiare nella realtà, di poter avere gli strumenti per affrontarla e anche per vincere.”

“Che cosa rappresenterebbe per Pinocchio l’occasione di tornare nella favola?”

“In questo spettacolo Pinocchio non torna nella favola realmente, perché tutti i riferimenti sono alla realtà. Anche la scenografia è molto concreta e vissuta. La fata, che è interpretata da Cristina Giachero, è molto reale. E’ nel suo ruolo, però la vediamo come una donna. Pinocchio si riferisce anche a lei nella sua carnalità di donna. Quindi lui non torna nella fiaba, ma fa riferimento a essa. Chiaramente i personaggi della favola come la Volpe, la fata e il Grillo Parlante sono i ricordi di qualcosa che gli è appartenuto e che lo ha reso quello che è. C’è un continuo rimando tra la vita vera e la fiaba, che è un po’ una proiezione.”

“Riuscirà a ritrovare se stesso?”

“Sicuramente sì. Alla fine Pinocchio ritrova se stesso e si specchia. E’ per lui sicuramente una notte di coscienza.”

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Sara Di Giacinto per il supporto professionale