Uno spettacolo ideato dal duo Bruni-Frongia per attore, fantocci, figure animate e musica. Un one-man-show, percorso da una densa colonna sonora e popolato da una corte di inquietanti fantocci che danno corpo a tutti gli eroi, gli uomini e gli spiriti del capolavoro shakespeariano.
La tempesta di William Shakespeare è in scena alla sala dell’autore di cui porta il nome al Teatro Elfo Puccini dal 6 al 24 febbraio. La regia è di Francesco Frongia e Ferdinando Bruni, protagonista in scena con Filippo Renda e Saverio Assumma.
Quattro domande a Ferdinando Bruni
“Quant’è diverso uno spettacolo come questo da quelli che sei abituato a dirigere di solito?”
“Qui sono solo in scena e ho a che fare con delle creature inanimate. Quindi c’è un rapporto con la scena e con il pubblico completamente diverso. Ci sono le parole di Shakespeare, che sono un veicolo importante, ma è molto importante anche il rito che si svolge sul palcoscenico. Solitamente sono in scena con altri colleghi e c’è uno scambio di energie diverso. Qui c’è un rapporto privilegiato, nonostante abbia due ufficianti che mi aiutano in questo rito. Sono solo con le parole di Shakespeare, quindi questo è molto diverso dagli altri spettacoli.”
“Chi sono i protagonisti dell’opera?”
“Il protagonista assoluto è Prospero, che è un duca mago, un uomo del Rinascimento che però si dedica anche alle arti della magia buona. Distratto dai suoi studi, viene esautorato dal fratello che gli porta via il potere. Viene sbattuto con la figlia piccolissima su un’isola deserta. Il testo e lo spettacolo parlano del processo di elaborazione attraverso cui Prospero arriva a far prendere coscienza ai suoi nemici del male che gli hanno fatto e a ritrovare un equilibrio interiore nel perdono alla fine di un lungo percorso, 12 anni dopo il misfatto. Tutto si svolge sull’isola che è anche il palcoscenico. Questo è l’ultimo testo di Shakespeare con cui dà l’addio al teatro.”
“Quant’è difficile far parlare tutti i personaggi?”
“Alla base del teatro c’è un’idea di gioco e quando un attore è in grado di interpretare un personaggio, se ha gli strumenti tecnici per farlo, ne può interpretare anche tanti altri. Passare da un personaggio all’altro, da un burattino all’altro e da una figura all’altra è un gioco. Si va a pescare nelle tradizioni del teatro popolare: i cantastorie, i burattinai e i marionettisti. E’ una concezione di teatro molto legata all’idea che il teatro è anche un gioco. Nobilissimo, ma pur sempre un gioco.”
“Quali sono i drammi di Prospero?”
“Prospero vive una ferita inferta da un fratello, cioè dalla persona che dal punto di vista del legame di sangue è più vicina a lui. Era quella di cui si fidava di più, tant’è che gli aveva affidato anche il governo dello Stato, quindi non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato proprio il fratello a cacciarlo dal ducato. Quindi il lavoro che Prospero fa su di sé è proprio quello di lasciare andare dentro di sé il rancore, il dolore, la ferita, l’odio e ritrovare un equilibrio. Alla fine dice una battuta molto bella che ha una doppia valenza: “Visto che ho perdonato il traditore, ho riavuto il ducato.” Quindi è grazie al perdono che tornano l’equilibrio e la serenità. E’ un perdono non superficiale, ma elaborato e che aiuta anche chi ha commesso la colpa ad avere coscienza di quello che ha fatto.”