VIRGINIA LANDI, “DUE VOLTE TITO”

Un bambino senza nome gioca in mezzo alle macerie. E’ l’unico sopravvissuto alla catastrofe che ha distrutto il mondo del Tito Andronico. In scena un coro di quattro attori ripercorre criticamente la vicenda della tragedia, mosso dalla necessità di raccontare al bambino la sua storia.

Per la rassegna Hors è in scena il 2 ottobre al Teatro Litta Due volte Tito – Sopravvivere alla tragedia. Si tratta di uno spettacolo ideato e diretto da Virginia Landi, che ha anche firmato la drammaturgia con Francesca Mignemi ed Eleonora Paris. Ne sono protagonisti Francesco Aricò, Diana Bettoja, Stefano Carannante e Valeria Girelli.

La parola a Virginia Landi

Com’è nata l’idea di questo spettacolo?

Due volte Tito – Sopravvivere alla tragedia è ideato dalla compagnia Landi/Mignemi/Paris, scritto da Francesca Mignemi ed Eleonora Paris, le due autrici con cui lavoro e collaboro, e diretto da me. Abbiamo cominciato a lavorare a questa riscrittura del Tito Andronico di William Shakespeare nel 2018. Dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018, ci siamo accorte che il linguaggio politico e dei media diventava sempre più violento. La politica stava sdoganando un linguaggio violento e vedevamo quella violenza in maniera più evidente intorno a noi.

In quel periodo leggiamo e ci avviciniamo al Tito Andronico di Shakespeare e ci troviamo davanti a un mondo estremamente violento che ci ricorda il nostro, la nostra attualità, in cui dalla parola violenta si genera un’azione violenta da cui poi non si può più tornare indietro, fino ad arrivare a un mondo che si conclude e trova una propria fine nella catastrofe. Quindi abbiamo deciso di avvicinarci a questo testo, riscriverlo e farne una nostra versione in cui avvicinare il mondo di Shakespeare al nostro.

Cosa rappresenta il bambino che gioca da solo in mezzo alle macerie?

Il bambino è un’immagine, un simbolo di speranza verso il futuro. Rappresenta una nuova generazione libera dai modelli culturali violenti che ci precedono e che fondano la nostra cultura patriarcale. Questo bambino è l’unico sopravvissuto nella tragedia del Tito Andronico ed è uno dei pochissimi personaggi che sopravvive. E’ un bambino orfano ed è nero, perché è il figlio di questi due personaggi, Tamora e Aronne, che è il suo amante ed è uno schiavo nero. Quindi per noi, fin da subito e dalla prima volta che abbiamo letto il testo, questo bambino ci è rimasto impresso, perché rappresenta un simbolo di un futuro possibile, di una società più aperta e inclusiva in cui c’è spazio per tutti, anche per persone che solitamente nella nostra cultura occidentale vengono discriminate, messe da parte ed emarginate.

Quindi noi partiamo dalla fine della tragedia del Tito Andronico, dunque dall’immagine della catastrofe, e mettiamo questo bambino al centro come immagine. Il racconto del Tito Andronico fatto al pubblico parte proprio dall’immagine di questo bambino ed è anche al bambino che raccontiamo la storia del mondo che l’ha preceduto, per dargli la possibilità di scegliere che cosa fare del proprio futuro e come comportarsi: se portare avanti questa violenza preponderante nel mondo che l’ha preceduto o se cambiare strada.

Di che cosa è fatto il mondo del Tito Andronico?

Il mondo del Tito Andronico è fatto di padri e figli, di padri violenti che soffocano i figli e li uccidono. Quindi è un mondo al collasso, è un mondo in crisi e che di fatto sembra essere senza futuro. Ed è un mondo che mette in atto una cultura violenta senza mai metterla in discussione.

Quali sono i condizionamenti sociali e i modelli che fondano la cultura occidentale?

Sono modelli patriarcali. Per “patriarcali” intendo modelli in cui la figura maschile è preponderante e in cui le voci discriminate sono quelle delle persone considerate più deboli: innanzitutto le donne e le persone considerate inferiori per il colore della loro pelle, ad esempio. Quindi il modello principale è quello basato su un unico punto di vista che è quello preponderante, ovvero dell’uomo bianco.

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  • Intervista di Andrea Simone
  • Foto di scena del sito di Manifatture Teatrali Milanesi
  • Si ringrazia Alessandra Paoli per la collaborazione