IL TEATRO DI SAVERIO LA RUINA

Sono quattro gli spettacoli con cui il regista Saverio Laruina calcherà il palcoscenico del Teatro Menotti dal 19 al 31 ottobre: Saverio e Chadli vs Mario Saleh, Dissonorata, La borto e Polvere. Tutti hanno due fil rouge: le donne e l’Islam. Donne maltrattate e la violenza di genere, le donne musulmane che tanto hanno in comune con le donne calabresi. Saverio Laruina è presente anche come attore in tutti e quattro gli spettacoli. In Saverio e Chadli vs Mario Saleh lo vediamo sul palco con Chadli Aloui, in Polvere con Cecilia Foti, mentre in Dissonorata e La Borto è in scena da solo.

Il trailer di “Polvere” (immagini del canale Youtube “Scena Verticale”)

Quattro domande a Saverio La Ruina

In “Saverio e Chadli vs Mario e Saleh” che punto d’incontro trovano il mondo arabo e quello occidentale?

E’ una situazione veramente complessa. Spero di aver messo a fuoco i nodi e le difficoltà di questa relazione. Nel precedente capitolo, Mario e Saleh, a livello poetico abbiamo superato molti scogli. Sembrava che in realtà la soluzione fosse troppo ottimista, data la complessità del problema. C’era un disagio da parte dell’interprete nello stare dentro al ruolo. Questo avveniva perché lo vedeva troppo mediatore e incline a trovare delle soluzioni, a sopportare delle situazioni in vista di una riappacificazione.

Quindi questo spettacolo nasce dalla ribellione di Chadwi attore rispetto al personaggio che interpretava. Qui la cosa si apre molto di più. Emergono anche dei flash rispetto alle condizioni di un’eredità e di un dolore legato alla propria terra d’ origine, il Maghreb del Medio Oriente, che ha subito colonizzazioni e sfruttamenti. Tutto questo fa parte della coscienza di Chadwi. Dunque è un aspetto che lo spettacolo mette in evidenza, come fa anche con certe tematiche dure di questa relazione.

In “Dissonorata” che cosa emerge della tragedia delle donne?

Dissonorata è nato in un momento in cui si parlava di portare la forza e la democrazia in Medio Oriente, dove la donna è sopraffatta e vive una sottomissione terribile. Volevo vedere anche quali sacche avesse l’Italia o quanto provenisse da un passato in cui la donna viveva in condizioni simili a quelle del Medio Oriente. Io stesso ne avevo un certo ricordo, come il velo nero sempre in testa alle donne per strada. Era una serie di cose che mi ricordava non tanto certe radicalità nella vestizione del mondo mediorientale, ma il richiamo a esse, soprattutto in certe zone del nostro Paese dove la donna viveva comunque in una situazione d’inferiorità e di subordinazione fortissima.

Tra l’altro il sottotitolo di Dissonorata è Un delitto d’onore in Calabria e il delitto d’onore fino al 1981 era quasi depenalizzato da una clausola. Un marito tradito che aveva ucciso la moglie se la cavava con qualche mese di galera, quindi è un crimine che appartiene al nostro passato recente. C’è anche una trasformazione culturale ma bisogna sapere che nel nostro passato, non nel nostro Medioevo, c’è una storia molto recente. In qualche modo si parla pure delle altre culture che ci sono, anche di quelle occidentali. Sappiamo che sullo stesso pianerottolo in cui abitiamo avvengono ancora casi simili. Quindi c’è tutto un percorso che porta a La Borto e Polvere dove è evidente questa sopraffazione maschile e dominante che nel mondo patriarcale si trasforma.

Che tipo di amarezza prova la protagonista di “La Borto”?

L’amarezza di una donna che a 13 anni sposa un uomo che ha il doppio della sua età, storpio, ma che ha il posto fisso e quindi c’è una bocca in meno da sfamare. Una scelta crudele imposta in nome della sopravvivenza, che la costringeva a un destino dove non c’era possibilità di decidere, che la faceva diventare una “sfornatrice” di figli, che quindi le provocava l’amarezza di vedersi arrivare a 30 anni e di dire che in tutto il periodo delle gravidanze non si era mai vista i piedi perché la pancia glielo impediva. Quindi provava l’amarezza di non esistere, di non autodeterminarsi secondo i propri desideri, avendo però la coscienza di saperlo. La consapevolezza di sapere quello che le sta succedendo moltiplicava il dolore. Non a caso, nel finale, lei accompagnerà comunque in questo lungo e travagliato viaggio per l’Italia la nipote minorenne che si ritrova ad abortire.

Questo richiama anche il film L’évenement, vincitore del Festival del cinema di Venezia 2021, tratto dal romanzo di Annie Ernaux, che parla anche di se stessa, costretta ad abortire prima che l’interruzione di gravidanza diventasse legale. E’ esattamente quello che succede a Vittoria ne La Borto. Vittoria accompagna la nipote dopo che sceglie di abortire. Chiaramente nessuna donna vorrebbe interrompere una gravidanza, perché è una cosa estremamente dolorosa. Lei glielo spiega, dicendole che l’aborto più doloroso è stato quello che ha praticato a 13 anni, quindi il primo, poi il secondo, poi il terzo. In realtà ha abortito la sua vita.

“Polvere” parla della violenza di genere. Ti è mai capitato di conoscere personalmente una donna maltrattata?

Assolutamente sì. Ho fatto un percorso che all’inizio sembrava complicato. Poi però le donne hanno iniziato a confessarsi e a raccontarmi le loro vicissitudini. Quindi lo spettacolo racchiude questi meccanismi di manipolazione psicologica operati dall’uomo e li racconta con parole quotidiane e molto reali. Mi hanno raccontato situazioni pesanti, dove la violenza psicologica non poteva essere denunciata perché non era visibile. Nell’anima però rimangono delle cicatrici invisibili molto più dolorose di un piatto rotto in testa.

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  • Intervista di Andrea Simone
  • Foto in evidenza del sito del Teatro Menotti
  • Si ringrazia Linda Ansalone per la collaborazione