Nel 1750 Carlo Goldoni decise che era ora di un cambiamento. Aveva 43 anni e voleva abbandonare gli stereotipi della commedia dell’arte per sperimentare nuovi generi. Fu così che nacque Il Teatro Comico, un’opera destinata a gettare le basi del teatro moderno che vide in Luigi Pirandello il suo massimo esponente. Il lampo di genio lo porta a un’astuzia teatrale: quella di far recitare ai suoi attori la riforma studiata. Durante le prove della farsa Il padre rivale del figlio troviamo le Maschere -Pantalone, Brighella, Il Dottore, Arlecchino -, gli attori che interpretano gli amanti e il capocomico Orazio, che vuole persuaderli a mettere da parte l’improvvisazione consolidata perché imparino a studiare e a sostenere il personaggio partendo da un testo scritto.
Il Teatro Comico è la nuova produzione del Piccolo Teatro di Milano in cartellone fino al 25 marzo al Piccolo Teatro Grassi di Milano. Adattamento e regia sono firmati da Roberto Latini, che troviamo anche in scena con Elena Bucci, Marco Manchisi, Savino Paparella, Francesco Pennacchia, Stella Piccioni, Marco Sgrosso e Marco Vergani.
La parola a Roberto Latini
“Quanto è importante questo testo per il teatro che venne dopo?”
“E’ fondamentale, forse anche di più di quello che annunciava a quel tempo. Credo che abbia stabilito una sospensione dal passato. E’ un futuro che si è costruito in seguito, però credo che sia più evidente quello che non è successo rispetto a quello che poi è accaduto.”
“In che cosa Goldoni fu veramente rivoluzionario?”
“Lo è stato rispetto ai testi e alla sensazione fondamentale di parlare al pubblico. Goldoni ha convocato le maschere, gli attori e i personaggi sul palcoscenico. Averlo fatto con questo testo del teatro comico ha coinciso con la necessità di portare la riforma agli spettatori, non soltanto agli artisti.”
“Si può dire che quest’opera fu per lui un punto di svolta?”
“Non so se questa lo sia stata particolarmente, ma di sicuro la sua svolta viene raccontata qui. Forse sono più una svolta le 16 commedie di quell’anno. Quest’opera rappresenta il programma di intenti e la convinzione di Goldoni.”
“Perché era stufo della commedia dell’arte?”
“Non credo che fosse stufo. Penso che Goldoni abbia avuto la sensibilità di capire cosa stava succedendo in Europa, ma che invece non stava accadendo in Italia. Quindi si è ‘auto-autorizzato’ a fare questo passo con un certo rimpianto. Chissà che qualità di attori e performer avremmo oggi se non fossimo stati ricondizionati da quella riforma!”