E’ stato uno dei fatti più tragici della Seconda Guerra Mondiale. Il 20 ottobre 1944 un bombardamento aereo centrò per sbaglio in pieno la scuola elementare Francesco Crispi di Milano, nel quartiere Gorla, uccidendo 184 bambini. Nel suo spettacolo Gorla fermata Gorla, il regista Renato Sarti ha voluto fare in modo che la memoria storica e collettiva di quel giorno non si perdesse. Ha così coinvolto nell’impresa teatrale la grande Giulia Lazzarini, affiancandole due attrici altrettanto valide come Marta Marangoni e Federica Fabiani, che saranno in scena al Teatro della Cooperativa di Milano il 20 e il 22 ottobre.
Quattro domande a Giulia Lazzarini
In che modo si è identificata con il suo personaggio?
Graziella, questa vecchissima signora che esiste ancora oggi e che si è salvata correndo fuori dalla scuola insieme a pochi altri, è talmente viva che è impossibile identificarsi: è lei che ha raccontato la storia perché la potessimo fare in teatro. Io mi sono immedesimata soltanto nella paura che questa vecchia donna ha avuto da bambina. Abbiamo la stessa età e anch’io ho patito le paure, le corse nei rifugi sulla strada e in quelli in cantina. Il mio timore era che la casa mi crollasse addosso e che i miei genitori non mi ripescassero più.
Perché è un fatto che rischia di essere dimenticato?
Perché la gente vuol dimenticare la verità, soprattutto nel periodo dorato che ha vissuto dopo. Noi bambini che abbiamo fatto la guerra, abbiamo poi cominciato a mangiare bene e a fare le vacanze dove volevamo farle. Era un modo di vivere completamente diverso. Vuoi che si ricordino certe cose? La gente cerca di vivere nel proprio presente e questo è un male perché oggi siamo di nuovo allo stesso punto, anche se non in Italia. Abbiamo dimenticato le tante tragedie passate successe vicino al nostro Paese. Le nuove generazioni hanno avuto troppo di tutto. Per loro le guerre sono un film americano o altre cose che non svelano la paura, il disagio e la fame veri che abbiamo vissuto noi. Non vorrei che ricadessimo nell’atrocità di far fronte a una situazione che oggi ci coglierebbe molto impreparati.
A livello emotivo è difficile per lei fare questo spettacolo?
Sì e lo dice una battuta importante che riguarda l’allarme. Finché c’era, si andava in cantina, ma in questo caso non sapevano che cosa volesse dire l’allarme che era suonato: significava che l’emergenza era cessata? Era quello piccolo o quello grande? I bambini non sapevano che cosa fosse quel suono e questo li ha buttati nello scompiglio, per cui le maestre non sapevano più se farli uscire o tenerli dentro. Per me è veramente doloroso leggere quella pagina perché si capisce le paura di scappare da qualcosa che non si sapeva che cosa fosse. Lo spostamento d’aria li ha dilaniati dappertutto. Erano 184, non pochi. Anche i più piccoli sono stati martoriati da questa bomba sganciata per errore.
Che particolari ricorda di quel giorno?
Ero a Milano e ho sentito l’allarme perché ero anch’io a scuola, non a Gorla ma in via Bazzini, nell’istituto delle suore vicino a Piazza Piola. Dovevo arrivare fino in fondo, dove oggi c’è la fermata della metropolitana mentre allora non c’era niente. Sapevamo che c’era un allarme e quindi dentro il rifugio della scuola stavamo tutti molto attenti. Bisognava correre per raggiungere il rifugio. Quando fu bombardato piazzale Loreto e caddero tutte le case che io conoscevo, da via Pacini prendevamo il tram che attraversava via Porpora, arrivava in piazza Duomo e andavamo a vedere con curiosità incredibile tutte le macerie lasciate dai bombardamenti. Sotto c’erano ancora le persone da estrarre. Io da bambina le vedevo e ce le ho ancora impresse.
A quel tempo però c’era la curiosità atroce tipica dei piccoli, che per la loro inconsapevolezza non considerano atroci certe cose. Quando si andava nei rifugi, però, se non c’era pericolo, ci si divertiva anche, perché si giocava, si stava tranquilli, si raccontavano delle storie e si cantava fino al cessato allarme.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Giulia Tatulli per la collaborazione
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